La rovesciata di Parola. Per chi mastica un po' di calcio al di là dei fatti (spesso non edificanti) suggeriti dalla stretta attualità, si tratta di qualcosa di più di un mero gesto tecnico di eccellenza. E' la vera e propria incarnazione fotografica di un mito, anzi di due miti: quello del calcio italiano, e quello di una pubblicazione che, forse più di altre, ha contribuito alla diffusione e al consolidamento della passione per il football nel nostro Paese, a partire dagli anni Sessanta. Si parla della raccolta di figurine "Calciatori" edita annualmente dalla Panini, raccolta il cui logo è un giocatore stilizzato impegnato in una rovesciata.
LA NASCITA DEL MITO - Quel marchio, inconfondibile e ormai riconoscibile in tutto il mondo, è la fedelissima riproduzione di una foto scattata nel freddo pomeriggio del 15 gennaio 1950. Al Comunale di Firenze, già stadio Berta, si giocava Fiorentina - Juventus, ventesima di campionato. Era il primo torneo dopo la sciagura di Superga che aveva cancellato il Grande Torino, la compagine granata che, forte di fuoriclasse quali Valentino Mazzola, Loik, Gabetto, Maroso, Grezar, Menti, Castigliano, aveva dominato la scena calcistica italiana degli anni Quaranta, dando il via alla propria leggenda con la conquista, nel '43, dell'ultimo scudetto ufficiale prima dell'interruzione bellica (nel '44 ci sarebbe stato il torneo di guerra dell'Alta Italia vinto dai Vigili del Fuoco della Spezia, ma fu tutta un'altra storia), e aggiudicandosene poi altri quattro, di seguito, fra il '46 e il '49.
UNA PARTITA CON POCHE EMOZIONI - Dunque, nel vuoto tecnico creato dalla contemporanea, tragica scomparsa di tanti campioni, la Juve parve da subito la più pronta a raccogliere il testimone dei "leggendari". E in effetti, in quel gennaio occupava con sicurezza la prima posizione, con sei punti di vantaggio sul Milan, secondo, e alla fine avrebbe trionfato, grazie a un equilibrato mix di concretezza e spettacolarità. Era ben messa anche la Fiorentina, quarta: stava cominciando a prendere forma lo squadrone che, dopo tanti piazzamenti di rilievo, avrebbe alfine raggiunto il traguardo tricolore nel 1956, sotto la guida illuminata di quel grande uomo di calcio (in campo e fuori) che rispondeva al nome di Fulvio Bernardini.
Insomma, scontro al vertice e parata di tante stelle del tempo: dalla parte dei padroni di casa Costagliola, Cervato, Chiappella, Magli, Pandolfini; fra i bianconeri, Viola, Mari, Manente, Parola, Piccinini, Boniperti, Hansen e Praest. Nonostante queste ottime premesse, la sfida deluse le aspettative, fu uno zero a zero con poche emozioni, eccezion fatta per un rigore fallito dal fiorentino Cervato, forse il primo terzino sinistro dalle spiccate propensioni offensive (con conseguente buona prolificità sotto porta) prodotto dalla scuola italiana.
LA FOTO SUL "CALCIO ILLUSTRATO" - Ma torniamo da dove avevamo iniziato: quel match invernale non sarebbe mai passato alla storia, non fosse stato per una foto pubblicata pochi giorni dopo sul "Calcio illustrato" (se avrò modo, dedicherò un post a parte a questo storico settimanale) a corredo del commento alla gara: la foto ritraeva, per l'appunto, lo juventino Carlo Parola impegnato in una plastica rovesciata, sì, proprio quella rovesciata che sarebbe diventata emblema delle mitiche "figu". Scarna la didascalia: "Acrobazia di Parola", recitava.
Il mito cominciò così, e non potete immaginare il mio stupore e l'emozione quando, sfogliando questo vecchio numero del "Calcio" che ho la fortuna di possedere, mi sono imbattuto in quello scatto. Un gesto atletico compiuto nell'ambito di una gara che, per il giocatore in questione, fu più che positiva; sentite infatti come la giudicò il grande Renzo De Vecchi, ex gloria azzurra e genoana e per lunghi anni firma di prestigio di quel giornale: "Parola, sempre calmo nel controllo delle situazioni, primeggia nella retroguardia, sempre all'altezza del suo valore".
CHI ERA PAROLA - A questo punto, corre l'obbligo di spiegare in poche righe che calciatore fosse, il prode "Carletto". Perno della retroguardia, spiegava De Vecchi: egli era infatti un centromediano, o centrosostegno, ruolo chiave nel calcio d'epoca, forse più in quello d'anteguerra, dominato in larga parte del mondo dal modulo tattico denominato "Metodo", in cui il centromediano era l'autentico fulcro del gioco, colui che, in soldoni, doveva interrompere le trame altrui e far ripartire l'azione, preferibilmente con lanci lunghi e precisi. Per il ruolo, dunque, erano richieste doti tecniche, atletiche e di "cervello" a livelli di eccellenza. E lo juventino apparteneva all'élite dei migliori del ruolo, anche se il passaggio all'altro modulo in voga in quegli anni, il WM o Sistema, ne mortificò un pochino la rilevanza tattica "a tutto tondo", limitandola agli aspetti più prettamente difensivi, il che non impediva comunque al "nostro" di spiccare per classe ed efficacia. In Nazionale fu uno dei pochi non granata a potersi ritagliare uno spazio nel periodo dell'apogeo del Torino. Fu poi allenatore di successo, tanto da conquistare uno scudetto, ovviamente alla guida dell'amata Vecchia Signora, nel 1975.
Insomma, un fuoriclasse vero, che ha raccolto meno riconoscimenti di quanti il suo talento ne avrebbe meritati, ma che nella leggenda del calcio azzurro c'è entrato comunque. Per la sua carriera e per quella rovesciata del 15 gennaio 1950.