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martedì 17 aprile 2018

GENOA VIRTUALMENTE SALVO: DIECI BUONI MOTIVI PER RICONFERMARE BALLARDINI


La grande paura è (quasi) passata. Genoa virtualmente in salvo quando mancano ancora sei turni al termine del campionato. Chi avrebbe potuto immaginare un simile lieto fine dopo quell'inizio da incubo, dopo i sei punti in dodici gare con uno Juric che pareva impotente di fronte alla deriva della squadra? Che il gruppo messo insieme da patron Preziosi non fosse così modesto era lampante, e lo avevo scritto fin dall'estate scorsa: costruito male, questo sì, con ruoli scoperti e altri sovrabbondanti, ma assolutamente non privo di talento. I puntelli messi in gennaio hanno migliorato il tono tecnico complessivo ma non risolto tutti i problemi, e appare dunque evidente come l'impresa porti soprattutto la firma del trainer subentrato, Davide Ballardini. Il quale avrebbe meritato di ricevere la fulminea riconferma, per la stagione 2018/19, un minuto dopo la conclusione della decisiva Genoa - Crotone di sabato scorso. Così non è stato e ancora sussistono dubbi sulla sua futura permanenza alla guida del Grifone. Ecco, per quanto riguarda la posizione di Note d'azzurro, desidero che dubbi non ve ne siano. Il "Balla" deve rimanere sotto la Lanterna, e cercherò di spiegarlo attraverso i classici "dieci buoni motivi per..." che tanto vanno di moda nel giornalismo d'oggidì. E allora partiamo: perché l'attuale mister deve essere riconfermato? 
1) Lo si è in parte già detto poche righe sopra: perché ha preso in mano un team disastrato moralmente dopo un anno solare costellato quasi esclusivamente di sconfitte (ricordiamo anche la seconda parte del precedente torneo, che fu grosso modo un surreale susseguirsi di rovesci anche umilianti), e ha saputo rilanciarlo senza imporre ai tifosi ulteriori tribolazioni, iniziando da subito a macinare punti pesanti come macigni.
2) Perché fin dal primo giorno da allenatore rossoblu ha avuto ben chiaro quale fosse la chiave per togliersi dalle sabbie mobili: mettere fieno in cascina sfruttando al meglio i tanti scontri diretti. Così, i primi quattro successi della sua gestione sono stati ottenuti con Crotone, Verona (in trasferta), Benevento e Sassuolo (in casa); e, a seguire, sono giunti quelli su Chievo, Cagliari e ancora Crotone. Come dire: nelle sfide per la sopravvivenza, squadra e coach sempre sul pezzo. Ma le prestazioni migliori, sul piano dell'intensità e del livello del gioco, son forse state quelle degli inattesi trionfi con Lazio e Inter: altra dimostrazione che questo Genoa ha un tasso tecnico sufficiente a tener dignitosamente testa agli squadroni, cogliendo qua e là qualche risultato insperato.
3) Perché ha capito al volo le caratteristiche della rosa del Grifo, una rosa sovradimensionata e "squilibrata", non povera di elementi di valore ma con troppi nodi tattici da sciogliere, soprattutto dalla metà campo in su. E ha rimodellato il Genoa di conseguenza, mettendo da parte gli inopportuni voli pindarici del suo predecessore e costruendo un complesso roccioso, difficilissimo da perforare. Ha così portato realismo e concretezza, valorizzando al massimo le principali qualità della squadra: un portiere da Nazionale (in questo momento Perin è superiore a Donnarumma), una difesa attenta e concentrata in ogni sua pedina. Con un reparto offensivo prigioniero di troppi dubbi e troppe incognite, e irrimediabilmente sterile, ha puntato soprattutto sull'equilibrio dell'undici, consapevole che il "primo non prenderle" fosse la filosofia più in linea con gli uomini a disposizione. Sotto la sua guida è rinato Spolli, si è affermato Biraschi, hanno offerto prove costantemente rassicuranti Zukanovic e Rossettini. E se si fosse potuto contare con costanza su Izzo, che doveva essere uno dei pilastri... 
4) Perché, sulla scorta di quanto appena detto, col suo operato a Genova ha portato al prepotente ritorno in auge, speriamo non effimero, della scuola difensiva italiana, una nobile tradizione che ha fatto le fortune del nostro movimento calcistico e che, purtroppo, nel ventunesimo secolo è andata via via disperdendosi (negli anni Ottanta e Novanta, per dire, nessuna squadra di casa nostra avrebbe subito una rimonta assurda come quella patita dalla Lazio a Salisburgo, in Europa League). Persino un Ballardini nelle vesti di apripista storico, dunque: speriamo che il seme da lui gettato non cada nel vuoto. Si obietterà: se riscoprire l'arte della difesa significa assistere a "spettacoli" come quelli offerti quest'anno dal Zena, molto meglio le terze linee ad alta... perforabilità viste negli ultimi lustri in Serie A. Ma le migliori espressioni del calcio tricolore hanno sempre mixato rigore difensivo ed efficienza offensiva nelle giuste dosi: e verosimilmente anche il livello estetico del gioco offerto da questo Genoa sarebbe stato superiore, se tutti gli ingranaggi della fase d'attacco avessero funzionato regolarmente.
5) Perché comunque, riallacciandomi al punto 4, al di là della felice scelta di "blindare" la squadra per proteggerla dagli assalti avversari, il mister ha raggiunto l'obiettivo stagionale giocando, di fatto, senza una prima linea competitiva. Lapadula fin qui fallimentare quanto a media realizzativa, non solo per demeriti suoi; Pepito Rossi scommessa finora perduta dalla società (speriamo vada meglio nel prossimo campionato, se verrà confermato); per Taarabt una manciata di buone prestazioni e nulla più, così come per Pandev, decisivo in alcune gare ma ormai appannato dal carico dell'età; Galabinov generoso combattente ma in linea di massima poco adatto alla categoria, in quanto a incisività sotto porta. In un quadro così desolante, l'unica strada era cavare il massimo dalle poche reti segnate incrementando l'impermeabilità difensiva. E Balla ci è riuscito. 
6) Perché è un uomo che ama davvero il Genoa e lo ha dimostrato coi fatti. Che non sono quei gesti di genoanità simpatici, utili a catalizzare l'entusiastica attenzione dei fans ma fini a loro stessi, come il non sedersi sulla sedia coi colori della Samp al termine dell'ultimo derby (trovata comunque geniale, nel suo piccolo; che qualche blucerchiato  anche illustre si sia sentito offeso è incomprensibile: dovrebbero essere proprio questi gli esempi di sano sfottò che si vanno un po' perdendo). Lo ha dimostrato tornando per la terza volta al capezzale del club a stagione in corso, senza che nelle due precedenti occasioni (2011 e 2013) fosse stato gratificato con una riconferma che si era guadagnato sul campo. 
7) A proposito di derby: perché ha frenato la caduta a precipizio nella stracittadina (le precedenti tre erano state perse) con uno 0-0 brutto ma esemplare, proprio perché ha esaltato le caratteristiche stagionali del suo Grifo: un undici magari non bello a vedersi ma terribilmente concreto e capace di neutralizzare la stragrande maggioranza degli attacchi del massimo campionato (anche Juve, Napoli e Lazio hanno faticato terribilmente contro la muraglia ligure).
8) Perché merita di essere visto all'opera con una rosa costruita su sue precise indicazioni tecnico - tattiche, lavorando in totale accordo col presidente Preziosi e soprattutto col dg Perinetti, altro uomo decisivo per la ritrovata serenità rossoblu. Ballardini ha ampiamente dimostrato di saper dare il massimo in situazioni di emergenza, capendo rapidamente le caratteristiche di squadre e uomini a lui affidati e agendo di conseguenza: se guidasse il gruppo fin da luglio, perché escludere che possa ulteriormente incrementare il suo rendimento? Mettiamo la sua concretezza al servizio di un gruppo che possa permettergli di schierare un attacco efficiente e un centrocampo con tutti i tasselli al posto giusto, e poi tiriamo le somme. 
9) Perché sono (siamo?) stanchi di salti nel buio. Dopo il primo Ballardini, si sono alternati Malesani, Marino e De Canio, con lo scandaloso risultato di una salvezza all'ultima giornata colta da una squadra qualitativamente da centroclassifica, se non di più; dopo il secondo, non si è trovato di meglio che puntare sul debuttante Liverani, un derby vinto e nulla più, prima di riaffidarsi al provvidenziale Gasperini; quel Gasperson che sarebbe rimasto volentieri a Genova, ma al quale si preferì il suo allievo Juric, non all'altezza della Serie A. Nel frattempo, i tempi per il Genoa si son fatti duri e avventurosi, la situazione finanziaria non è rosea e, insomma, di tutto in questo momento c'è bisogno fuorché di ulteriori scommesse. Nell'attesa che si concretizzi il tanto sospirato passaggio di consegne in società, Ballardini è la soluzione migliore per andare sul sicuro. 
10) Perché, dulcis in fundo, parlano i numeri, che nel calcio non sono tutto ma hanno un peso specifico enorme: 32 punti in 20 partite, appena 15 gol realizzati ma solo 12 subìti. Con questi dati, e con la salvezza di fatto in cassaforte dopo un'autentica partenza ad handicap, non sarebbe giusto scegliere un'altra strada.

mercoledì 11 aprile 2018

IMPRESA ROMA IN CHAMPIONS: UN INVITO ALL'OTTIMISMO. IL CALCIO ITALIANO DEVE SMETTERLA DI PIANGERSI ADDOSSO...


E così, per una sera ci siamo ritrovati ad esser (quasi) tutti romanisti. Perché il calcio italiano ha bisogno anche di imprese come quella giallorossa, per uscire dal pericoloso impasse in cui staziona da quando si è ritrovato escluso dai Mondiali prossimi venturi. La clamorosa qualificazione ai danni del super Barcellona ha un significato che va oltre il risultato del campo, di per sé strepitoso. E' una lezione salutare per tutto il football di casa nostra: un invito a smetterla di piangersi addosso, a darci un taglio con questo inferiority complex che ci attanaglia da troppi anni e che fa accettare con rassegnazione sconfitte considerate pressoché inevitabili. 
CRISI TECNICA? SI', MA... - Di Francesco e i suoi ragazzi ci hanno invece detto che "si può fare". Il pallone tricolore è in crisi? Nessuno lo nega. E' un movimento che ha tanti problemi, e qui sul blog è stato scritto un'infinità di volte; è un sistema-calcio sicuramente in soggezione, sul piano dell'organizzazione, delle risorse finanziarie, del talento puro, del livello tecnico complessivo, rispetto ad altri Paesi. Tanto ancora bisogna fare per venir fuori da questo buco nero, ma il punto di partenza non possono essere le lamentazioni alla Fabio Capello, che in un'intervista di pochi giorni fa si è sentito in dovere di dichiarare che "mancano elementi di grande livello, mancano i talenti, è difficile fare bene con giocatori mediocri". Non c'era bisogno di scomodare l'ex tecnico di Milan, Roma e Real Madrid per sentirsi ripetere tali banalità, ma le sue parole sono anche emblematiche del modo sbagliato in cui, da più parti, si sta approcciando questa crisi. 
MEGLIO LA FILOSOFIA DI CONTE CHE QUELLA DI CAPELLO - Sì, perché viviamo una fase storica di chiaro  ribasso qualitativo degli atleti a disposizione dei vari club e delle rappresentative nazionali, ma non siamo stati rasi al suolo come da più parti si cerca di fare intendere. Ci stanno davanti Spagna, Germania e Inghilterra, ma non siamo precipitati a livelli di modestia calcistica assoluta, non siamo la Finlandia, l'Ungheria o la Scozia, con tutto il rispetto. Abbiamo ancora qualche risorsa di classe, e allenatori che sul piano della genialità strategica, oggi, hanno ben poco da invidiare ad altri referenziati mister di fuorivia. Con una guida tecnica all'altezza, con materiale umano buono pur se non eccezionale, con applicazione, impegno e ferrea volontà, quasi nessun traguardo è precluso. Piuttosto che quelli di Capello, meglio seguire gli insegnamenti di Conte, che alla guida di una Nazionale senza campionissimi, due anni fa, sconfisse sonoramente le superpotenze Belgio e Spagna e mancò di un soffio l'ammissione alle semifinali di Euro 2016.
CAPOLAVORO ROMA - La Roma ha messo a segno un autentico colpaccio, che però non era una mission impossible come la grande maggioranza degli esperti riteneva. Il team capitolino aveva le potenzialità per centrare un 3-0 casalingo, perché è squadra che ha nelle sue corde certe imprese: ricordiamo i quattro punti su sei sottratti al Chelsea nella prima fase, e ricordiamo anche la gara di andata al Nou Camp, in cui la Lupa fu vittima soprattutto della sfortuna (due autoreti!) ma dimostrò di potersela se non altro giocare. Il retour match dell'Olimpico è stato un capolavoro, sotto tutti i punti di vista: i giallorossi hanno saputo aggredire con continuità ma senza lasciarsi prendere dalla foga, hanno reso pressoché inoffensiva la manovra azulgrana, ricevendo una spinta supplementare dal sollecito gol dello strepitoso Dzeko, gigante dai piedi buoni che con la sua mole, i suoi movimenti sincronizzati al secondo e precisi al millimetro, ha messo da solo in ambasce la retroguardia catalana. In terza linea, Manolas ha giganteggiato con una serie di salvataggi provvidenziali, effettuati dopo aver siglato, con una perfetta deviazione su corner, il gol del trionfo, e Allison ha trasmesso ai compagni una costanze sensazione di sicurezza assoluta. Ma anche la sparuta pattuglia tricolore si è ben distinta: De Rossi non ha sprecato un pallone, Florenzi ha corso per tre ma con lucidità, e quando è subentrato anche El Shaarawy si è mostrato più vivo che mai, costringendo alla paratona Ter Stegen su un'azione che avrebbe potuto anticipare il 3-0. Poi, certo, anche gli avversari sono parsi decisamente al di sotto del loro standard: ma, da sempre, per poter ribaltare un pronostico non basta far tutto bene, è anche necessario che chi ti sta davanti sbagli qualcosa o sia in giornata storta. 
BASE DI PARTENZA - Sorpresa? Sì, certo, ma, lo ripeto, fino a un certo punto. Il nostro campionato ha club che possono tirare fuori queste grandi prestazioni sulla scena internazionale: lo sta facendo la Lazio, pur nella dimensione ridotta dell'Europa League, lo hanno fatto negli anni passati il Napoli e la Juventus, la quale stasera si troverà davanti un ostacolo davvero proibitivo, ma che il Real Madrid lo ha meritatamente battuto ed eliminato nella semifinale Champions del 2015, e che nella passata stagione ha strapazzato il Barça di Messi, proprio come ha fatto la Roma, arrivando a giocarsi la seconda finale di Coppacampioni in tre anni. Se questa volta ai bianconeri ha detto male in Europa, è semplicemente perché la vecchia guardia è in declino, e nel telaio non sono stati inseriti quegli apporti qualitativi e di freschezza che le avrebbero consentito di puntare a un'altra campagna europea di primo piano. Ma il calcio italiano tiene ancora orgogliosamente le posizioni. La Roma ci ha detto che non è più tempo di pessimismo, di rimuginare all'infinito sulla nostra inferiorità: qualche cartuccia da sparare l'abbiamo ancora. L'impresa di Dzeko e compagni è un invito a crederci di più, a non rassegnarsi: non risolve i problemi del football nostrano, ma può essere una buona base di partenza per recuperare entusiasmo e per lavorare più alacremente alla risoluzione dei nostri guai. E allora, per una volta, "grazie Roma".