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domenica 17 febbraio 2013

SANREMO 2013: IL... PAGELLONE DEL FESTIVALONE

                                   Daniele Silvestri: suo uno dei migliori testi dei Big

Chiudiamo (per il momento) l'annuale, piacevole parentesi sanremese con l'inevitabile "pagellone" dei brani portati in finale dai quattordici Big, qui elencati seguendo l'ordine della classifica finale della gara. 
L'ESSENZIALE - Marco Mengoni: brano che profuma di contemporaneità pur rimanendo nel solco della tradizione melodica all'italiana. Poesia d'amore moderna, vincitrice ideale in quanto sintesi perfetta fra orecchiabilità e complessità compositiva. Impreziosisce il tutto l'eclettismo vocale dell'interprete. Arrivederci all'Eurovision Song Contest. VOTO: 7,5. 
LA CANZONE MONONOTA - Elio e le Storie tese: ho già scritto della genialità di questo brano, un dissacrante divertissement  che è anche lezione di alto profilo sulle infinite vie della costruzione musicale. Un esercizio di stile ma non fine a se stesso. Presenza scenica da istrioni consumati. VOTO: 7,5. 
SE SI POTESSE NON MORIRE - Modà: Silvestre e compagni non hanno rischiato, proponendo uno dei brani più sanremesi dell'edizione, il che non sarebbe affatto un male in sé per sé; però è una canzone che sa di già sentito, poco originale nell'impianto melodico, e tuttavia sostenuta dalla potente voce del solista e da un testo forse semplice ed elementare, ma in grado quantomeno di colpire al cuore il pubblico più giovane. In definitiva, una partecipazione che non aggiunge nulla alla carriera dei Modà: non credo che il loro pezzo serva ad incrementare la schiera dei fans, che è poi uno degli obiettivi da perseguire quando si sale sul palco dell'Ariston. VOTO: 6. 
E SE POI - Malika Ayane: un'altra Big su cui molto si puntava ma che ha parzialmente deluso, presentando un'opera non all'altezza dei suoi due precedenti sanremesi. Una ballata oltremodo delicata, non priva di una certa raffinatezza di scrittura (marchio di fabbrica dell'autore Sangiorgi) e di notevole suggestione, ma forse eccessivamente sofisticata e che paga quindi dazio in quanto a forza d'impatto.  VOTO: 6+. 
SAI (CI BASTA UN SOGNO) - Raphael Gualazzi: ottimo ritorno all'Ariston del vincitore di Sanremo Giovani 2011. Decisamente cresciuto sul piano della sicurezza vocale, il suo è un altro di quei pezzi che sanno coniugare immediatezza e alta qualità artistica, pendendo più da quest'ultima parte. Un jazz leggero e pieno di feeling, al contempo avvolgente e trascinante, interpretato con sicurezza da affermato concertista. VOTO: 7,5. 
A BOCCA CHIUSA - Daniele Silvestri: bella prova autoriale del romanaccio. Il testo più attuale del Festival reso sul palco con una inedita attenzione al mondo dei non udenti. Brano dalla costruzione minimalista eppure di rara efficacia evocativa, destinato a entrare nel repertorio dei migliori classici del cantante. VOTO: 7. 
SOTTO CASA - Max Gazzè: si è rivisto il primo Gazzè, il più genuino e fantasioso, quello in grado di fondere con efficacia ricerca sonora e originali soluzioni testuali. Elettropop e atmosfere vagamente balcaniche, con un ritornello facile da ricordare. Bel rientro in Riviera. VOTO: 7. 
IL FUTURO CHE SARA' - Chiara (Galiazzo): tutto sommato un buon esordio per questa ragazzona made in X Factor. Brano di facile presa, forse il miglior esempio di "easy listening" duro e puro della produzione sanremese di quest'anno, un tango di indubbia presa radiofonica. Il refrain lo ricorderemo ancora a distanza d'anni, con buona pace dei cultori della musica "alta" (che non vuol dire necessariamente musica bella). Vocalità tutto sommato sicura ma da migliorare, a tratti è parsa troppo da compitino nell'interpretazione. VOTO: 6,5. 
SCINTILLE - Annalisa (Scarrone): sorprendente. Voce senza cedimenti e in grado di esplorare diversi registri, canzone "retrò" ma sapientemente costruita, con un arrangiamento piacevolmente variopinto e con le stimmate del tormentone soprattutto nella strofa. VOTO: 6/7. 
E' COLPA MIA - Maria Nazionale: deludente. Si può essere gradevolmente fedeli alla tradizione senza essere datati, ma non è il caso del pezzo scritto da Servillo e Mesolella, che sarebbe risultato già fuori tempo massimo negli anni Ottanta. Vecchio, terribilmente vecchio, e quella chiusura del ritornello in stile "My way" non è decisamente da consegnare ai posteri. VOTO: 5. 
LA PRIMA VOLTA (CHE SONO MORTO) - Simone Cristicchi: anche lui fa parte della schiera dei nomi attesi presentatisi con un'opera tutto sommato minore. Destreggiarsi in precario equilibrio sul sottile filo che separa serietà e ironia è difficile per tutti quando si affrontano temi pesanti come la morte, e il buon Simone vi è riuscito solo in parte. Il suo testo passa con eccessiva disinvoltura da momenti autenticamente strazianti (il decesso improvviso, la vestizione del cadavere) ad altri "leggeri" (gli incontri nell'Aldilà con Pertini e tutti gli altri). Comunque coraggioso. VOTO: 6. 
VORREI - Marta sui Tubi: i meno sanremesi in assoluto assieme agli Almamegretta. Tuttavia, al contrario di quanto aveva fatto dodici mesi fa un'altra band alternativa, i Marlene Kuntz, hanno annacquato solo in parte il loro sound per piegarlo alle esigenze della platea dell'Ariston. Brano che può emergere solo alla lunga, dalla costruzione complessa eppure tutt'altro che poco accessibile. Di grande efficacia il sostegno della batteria. VOTO: 6+. 
LA FELICITA' - Simona Molinari e Peter Cincotti: un duetto azzeccato, per una buona fusione jazz - swing - pop. Un pezzo gradevole, a tratti martellante nel ritornello grazie anche agli scarni ma azzeccati inserimenti vocali dell'americano. VOTO: 6,5. 
MAMMA NON LO SA - Almamegretta: un reggae schietto, discretamente congegnato ma non sostenuto adeguatamente, perlomeno nella versione live, dalla voce di un Raiz un po' sottotono. VOTO: 5,5. 

SANREMO 2013: LA LOGICA DEL TRIONFO DI MENGONI IN UN FESTIVAL TROPPO SOFISTICATO

                                                Marco Mengoni, il trionfatore

Sanremo 2013 si è congedato dalla sua sconfinata platea televisiva consegnando agli almanacchi il verdetto più logico e, in quanto tale, sostanzialmente scontato. Logico, perché "L'essenziale" di Marco Mengoni è l'unico brano, fra quelli giunti fino alla finale, a rappresentare l'ideale punto di equilibrio fra orecchiabilità e ricercatezza, fra spirito commerciale e spessore artistico sufficientemente "elevato", per quanto non altissimo. Un giusto compromesso, insomma, laddove le altre due canzoni medagliate pendono un po' troppo da una parte o dall'altra: fin troppo sofisticata ed elaborata, per quanto divertente, quella "Canzone mononota" che ha confermato la ponderosa sapienza musicale di Elio e le Storie tese (i quali hanno comunque fatto incetta di premi); eccessivamente convenzionale e nemmeno troppo originale nell'impianto melodico, per quanto complessivamente ben scritta, "Se si potesse non morire" dei Modà, ancora una volta piazzati. Un posticino sul podio lo avrebbe meritato di certo il raffinato jazz - pop di Gualazzi, mentre per tutti gli altri Big non sono ammesse recriminazioni: nessun altro pezzo aveva tutte le carte in regola per ambire ai massimi traguardi. 
LIVELLO DISCRETO E NULLA PIU' - La passerella della serata finale ha confermato le impressioni emerse nel corso della terza puntata di questo Festival, la prima in cui i cantanti si erano esibiti tutti insieme proponendo una sola canzone a testa, quella sopravvissuta ai due preliminari. Posso quindi ribadire che il livello complessivo della proposta musicale mi è parso discreto, ma tutt'altro che eccezionale, come invece continuano a sostenere i critici di lunga data (che del resto meritano comprensione: hanno atteso per anni un Sanremo quasi in formato "Premio Tenco", ora che l'hanno avuto è giusto che se lo godano...). 
Livello di certo inferiore a quello delle ultime tre edizioni,  ma superiore, volendo ampliare lo spettro temporale dei paragoni, rispetto a quanto ascoltato nelle due annate ancora precedenti, il 2008 e il 2009. I motivi di queste mie valutazioni li ho già illustrati ampiamente in questo post di due giorni fa: ripetermi sarebbe noioso per me e per i lettori. Mi limito a riassumerli: 1) Si è privilegiata una eccessiva ricercatezza, melodie e ritmi sofisticati a danno della semplicità, dell'immediatezza; 2) Buona parte dei pochi brani che hanno puntato sull'orecchiabilità non brillano però per originalità, sono stati scritti col freno a mano tirato, senza sperimentare, con un profilo basso, a volte rimasticando cose già sentite in passato. In linea generale, il patrimonio musicale lasciato ai posteri da questo Sanremo 63 manca di impatto, di forza penetrativa: le canzoni faticano e faticheranno molto a imprimersi nella testa e nel cuore, e dubito che gran parte di esse possano resistere nel tempo, facendosi ricordare anche ad anni di distanza...
CONTINUARE CON LE SCELTE "ALTE"? - E' una constatazione che rientra in un discorso più generale, quello della possibilità che, già l'anno prossimo, la kermesse rivierasca venga riproposta con la stessa formula, o quantomeno coi medesimi criteri artistici a guidare l'allestimento sia del cast dei concorrenti, sia di quello degli ospiti. E' vero, le scelte "alte" di Fabio Fazio e Mauro Pagani sono state premiate dall'Auditel, ma il dato, se permettete, lascia il tempo che trova: perché anche le scelte più leggere di Mazzi e compagnia nell'ultimo quadriennio avevano avuto riscontri di audience televisiva pressoché trionfali, comunque ampiamente soddisfacenti. Per tacere del fatto che, quest'anno come molte altre volte in passato, i dati di ascolto vanno tarati sull'assenza quasi totale di controprogrammazione efficace da parte di una concorrenza che invece, a metà degli anni zero di questo inizio secolo, era diventata improvvisamente agguerritissima nei confronti del festivalone. 
Ribadisco quanto detto  in uno dei miei post di presentazione della kermesse: le scelte di alto spessore artistico, di musica colta, ci stanno benissimo, perché il pubblico, diciamolo chiaramente, ha urgente necessità di essere "rieducato" dopo anni di brutture catodiche (che però, va detto onestamente, non sono certo arrivate dai precedenti Festival, ma hanno ben altri colpevoli); tuttavia è una tendenza che va mitigata, temperata con le giuste concessioni al pop, a quel pizzico di "nazionalpopolare" che in una rassegna leggera come Sanremo non deve mancare, mai. 
Auspico quindi, compatibilmente con le risorse economiche a disposizione dell'azienda organizzatrice dell'evento, di rivedere in futuro qualche divo internazionale sbanca - classifiche, perché, per citare esempi di illustri presenze passate, ospitate come quelle dei Queen, dei Duran Duran, di Jennifer Lopez o della splendida Whitney Houston, piaccia o no, hanno segnato indelebilmente la storia della kermesse, e l'hanno impreziosita, non certo imbastardita. E mi auguro anche una maggiore "ecumenicità" nella composizione del listone dei concorrenti, big e giovani, senza tralasciare (anzi) raffinatezza e sperimentalismo ma tornando a una maggior presenza di easy listening, senza il quale Sanremo non è più Sanremo. 

                                       Max Gazzè: convincente ritorno a Sanremo

FAZIO IN RISERVA DI ENERGIE - La finale di ieri sera ha presentato un Fazio visibilmente stanco, o forse inconsciamente appagato dal successo registrato dalla sua "creatura". L'anchorman savonese è andato avanti col pilota automatico, sostenuto da una Luciana Littizzetto invece ancora brillante. Le vetrine promozionali dei prossimi programmi Rai, che erano state una costante delle serate conclusive di molti Festival recenti, sono state ridotte all'osso, e di questo non possiamo che ringraziare la direzione artistica: solo un piccolo spazio per il nuovo game show della coppia Fabrizio Frizzi - Gabriele Cirilli, che peraltro è stato massicciamente pubblicizzato durante i "neri" di tutte le puntate di Sanremo. 
Di grande suggestione, e non poteva essere diversamente, la presenza più prestigiosa di questa edizione, un Andrea Bocelli peraltro fin troppo italiano nel senso deteriore del termine, visto che non è riuscito a resistere alla tentazione di tenere a battesimo sul palco il figlio Amos, pianista in costruzione. Impalpabile e poco significativa la partecipazione di Lutz Forster (esempio di come non si debba esagerare con certe "scelte alte", in questo contesto davvero fuori portata per molti e destinate a non lasciare il segno), mentre Bianca Balti preferiamo ricordarla come la simpatica Beatrice dantesca dello spot di una nota marca di telefonia mobile... 
BISIO E I BIG - Alla fine della fiera, la performance più riuscita è stata quella meno attesa: Claudio Bisio  ha... fregato tutti, partendo in sordina con un dimesso sketch sui personaggi Disney, che in realtà serviva solo a introdurre un monologo politico parso, per certi versi, più ficcante e più geniale di quello di Crozza: già, perché di questi tempi attaccare l'elettorato più degli... eletti è quantomai coraggioso e impopolare, anche se non sono mancate le stilettate, raffinate e indirette, ai politicanti d'oggidì. Tornando infine alla gara, nessun picco particolare nelle esibizioni degli artisti: impeccabili comunque le prestazioni di Mengoni, Modà, Malika, Gualazzi e di un'Annalisa che ha una voce da tenere in assoluta considerazione, più convincente, relativamente a queste cinque serate, di quella dell'attesa Chiara, che non ha deluso ma non è andata al di là di un discreto standard esecutivo. 
In crescendo rispetto alle prime sere Marta sui Tubi, Raiz degli Almamegretta non ha fornito una resa vocale all'altezza della situazione, sono parsi sottotono anche Simona Molinari e Max Gazzè, il quale ha cercato il riscatto con qualche effetto scenico (del tutto dimenticabile la lente a contatto stile Marilyn Manson, più riuscita la "direzione d'orchestra" del pubblico dell'Ariston, effettuata salendo sulla poltrona di prima fila occupata da Frizzi). Infine, gli Elii: grande lavoro di costumisti e truccatori, impatto delle maschere da "obesi" di primo acchito esilarante, ma, ripensandoci, prendere di mira un problema fisico nel Festival delle pari dignità e delle pari opportunità non è stata, forse, una trovata felicissima. 

sabato 16 febbraio 2013

SANREMO 2013 DIVENTA VINTAGE E CELEBRA BAUDO. GIUSTO TRIONFO DI MAGGIO FRA I GIOVANI

                                       Pippo Baudo, festeggiato ieri sera all'Ariston                                 

Superpippo Forever! Sì, d'accordo, ieri sera avrà anche raccontato per la milionesima volta lo stesso aneddoto sul 1968, su Louis Armstrong portato via a forza dal palco, sul vibrafono di Lionel Hampton, sui grandi stranieri come Dionne Warwick ed Eartha Kitt. Però, ragazzi, c'è poco da fare: Pippo Baudo è uno dei simboli più veri e genuini della storia del Festival di Sanremo. Anzi, per molti incarna il Festival stesso: un'esagerazione, è chiaro, ma è innegabile che l'anchorman siciliano abbia lanciato una formula sanremese che ancora oggi molti considerano la migliore per questa rassegna. Fra questi ci sono anch'io, pur con alcuni distinguo: mi vanno bene i tanti Big in concorso e soprattutto il criterio ecumenico nell'allestimento del cast dei cantanti, ossia il tentativo di metterci dentro le più svariate tendenze musicali e di soddisfare il maggior numero di fasce d'età. Solo che il Pippo nazionale tendeva sempre a privilegiare la tradizione, il classico: in questo era distante dallo storico patron Gianni Ravera (a cui in qualche modo si ispirava), che dava sì spazio ai veterani ma era sensibilissimo alle novità offerte dal panorama nostrano: penso all'edizione dell'84, quando a vecchi draghi come Del Turco, Sannia e Zanicchi affiancò massicciamente la nouvelle vague dell'epoca, da Camerini a Ruggeri, dalla Mannoia agli Stadio, da Garbo al Gruppo Italiano, quello di "Tropicana". 
VINTAGE - Digressioni a parte, l'ospitata del recordman di presentazioni festivaliere era doverosa e ha messo in luce un Pippo ancora sufficientemente in palla, capace di prendersi la ribalta e di ricreare in pochi minuti quel feeling col palco e quell'empatìa col pubblico che ne hanno fatto il massimo maestro di cerimonie sanremesi. La sua presenza ha rappresentato il clou di una serata che, più che Sanremo Story, sarebbe stato maggiormente corretto definire "Sanremo vintage", grazie al ripescaggio di piccoli - grandi momenti della storia della kermesse, come i quattro "presentatori allo sbaraglio" dell'edizione '89 (Gianmarco Tognazzi, Danny Quinn, Rosita Celentano e Paola Dominguin), e José Luis Moreno col corvo Rockfeller, parte integrante del cast del Festival 1985. Poteva essere anche più coraggiosa nelle scelte artistiche: pensate quanto sarebbe stato spiazzante, ad esempio, invitare una rappresentanza dei cantanti in concorso al Festival più sfortunato della storia, quello del 1975, il Sanremo degli sconosciuti! Siamo sicuri che l'audience ne avrebbe risentito? 
MENGONI E IL CASO TENCO - Per il resto, come noto, è stata la serata della riproposizione, da parte dei Big di quest'anno, di alcuni grandi successi del passato festivaliero. In genere, non sono un cultore delle cover: difendo a spada tratta le versioni originali, perché personalmente sono soltanto quelle a risvegliare in me i ricordi legati al periodo in cui uscirono. Per cui, se proprio cover deve essere, preferisco che sia largamente aderente alla canzone così come era stata realizzata ai tempi. In questo senso, ieri, si sono fatti apprezzare soprattutto Daniele Silvestri in "Piazza grande" e Mengoni con un'intensa interpretazione di "Ciao amore ciao". Forse per la prima volta, se la memoria non mi inganna, Tenco e la sua tragica partecipazione al Sanremo del '67 sono stati ricordati in maniera degna su quel palco: peccato solo che Fazio abbia trovato il modo di fare riferimento al "suicidio" del cantautore, laddove ormai sono sempre più numerose le voci che avanzano serissimi dubbi sulla versione ufficiale dei fatti, versione che presenta numerose incongruenze (ci sono diversi siti e forum che le analizzano nel dettaglio). Sarebbe stato più corretto e neutro parlare di morte avvolta nel mistero: la speranza è che, prima o poi, si riesca ad affrontare l'argomento con serenità di giudizio e senza affidarsi pedissequamente e acriticamente a cose dette e stradette in passato. 
ELIO E ROCCO SU, GUALAZZI GIU' - Di tutto rispetto anche la performance dei Modà, che hanno "movimentato" con una leggera veste rock la memorabile "Io che non vivo", e del duo Annalisa - Emma, rabbiosissime e convincenti in "Per Elisa". La versione di Chiara di "Almeno tu nell'universo" ha ricordato, inizialmente, quella, decisamente poco felice, incisa da Elisa sette o otto anni fa; poi la ragazza di X Factor ha aggiustato il tiro strada facendo. A proposito di Elisa, Gualazzi ha letteralmente stravolto la sua "Luce", vincitrice nel 2001, rendendola di fatto irriconoscibile. Bocciato, per quanto mi riguarda: se c'è una cosa che non sopporto è la tendenza a rifare una vecchia e celebre canzone sconvolgendone totalmente lo spirito musicale. Si può innovare, si può mettere qualcosa di proprio, ma nel pieno rispetto dell'originale: è ciò che hanno fatto Elio e le Storie tese, con "Un bacio piccolissimo" trasformata in divertissement teatrale grazie al duetto riuscitissimo con Rocco Siffredi, e tutto sommato anche gli Almamegretta, che hanno "contaminato" l'evergreen "Il ragazzo della via Gluck" con alcune intromissioni rap di Clementino lasciando tuttavia pressoché intatta la parte cantata, e anzi impreziosendola col jazz sempre efficace di James Senese. 
ANTONIO MAGGIO SUGLI SCUDI - Detto dei momenti alti rappresentati dalla delicata, suggestiva performance di Caetano Veloso e dalla verve di Stefano Bollani, nonché del commosso omaggio a un altro simbolo del Festival, Mike Bongiorno, con l'inaugurazione di una statua a lui dedicata, resta da parlare della finale dei Giovani, che ha avuto un esito tutto sommato scontato. Ha vinto il migliore fra i finalisti, un Antonio Maggio che già padroneggia il palco con abilità da artista consumato. La sua "Mi servirebbe sapere" è orecchiabile senza essere banale, anzi, si avvale di un'impalcatura financo complessa e articolata e di un'interpretazione a tratti istrionica ma non sopra le righe, sostenuta da una vocalità poliedrica. Renzo Rubino ha stoffa e ispirazione, mentre Ilaria Porceddu ha sfoggiato una voce limpida e sicura ma un pezzo non del tutto in linea coi tempi e tutto sommato convenzionale, convincente più nella strofa che nel ritornello. Non mi hanno entusiasmato i Blastema, non tanto per la loro abilità  di musicisti (che mi pare già su buoni livelli) quanto per l'efficacia del brano presentato: penso che, più di loro, Nardinocchi e soprattutto Il Cile non avrebbero sfigurato nella sfida conclusiva. Non a caso quest'ultimo è ritornato inaspettatamente sul palco dell'Ariston per ritirare il premio di categoria per il miglior testo, assegnatogli dalla giuria di qualità. 

venerdì 15 febbraio 2013

SANREMO 2013: LIVELLO DEI BRANI NON ECCELSO. QUALITA' DEVE FAR RIMA CON ORECCHIABILITA'

Chiara Galiazzo: un pezzo di facile presa

La montagna di Sanremo 2013, così tanto osannato dai critici e così fragorosamente premiato dagli indici di ascolto, potrebbe aver partorito, sul piano del livello della proposta musicale, il più classico dei topolini. E' stata illuminante, in questo senso, la serata di ieri. Il ritorno a una formula più tradizionale, con tutti i Big in pista per presentare una sola canzone, ha consentito una migliore valutazione dei pezzi, e la sensazione è che non ci si trovi di fronte a un'edizione memorabile. Non insufficiente, sia chiaro, ma nemmeno tale da far gridare al miracolo, come facevano intendere le recensioni entusiaste dei giornalisti che avevano avuto il privilegio di ascoltare i brani in anteprima. 
Ecco, il punto è questo: c'è il sospetto che si sia allestito un Festival che strizzasse l'occhio soprattutto agli esperti, a certa stampa con la puzza sotto il naso. Ma il concetto di qualità musicale è diverso e ben più complesso, soprattutto in relazione a ciò che è lecito attendersi da quella che resta, in fondo, una rassegna di musica leggera. Qualità delle proposte significa, per conto mio, sintesi ideale fra spessore e originalità compositiva da una parte, e orecchiabilità dall'altra. Perché, parliamoci chiaro, il Festival di Sanremo, per considerarsi riuscito al cento per cento, deve lasciare ai posteri opere che ti si ficcano nel cuore e nella testa, facili dai ricordare anche ad anni di distanza. Ebbene, ho qualche dubbio che ciò possa accadere per buona parte dei brani messi in pista in questo 2013. 
RICERCATEZZA MUSICALE - L'easy listening, già altre volte citato nei miei interventi "sanremesi" di questi giorni, non è un peccato mortale, tantomeno in riferimento alla kermesse rivierasca: e invece pare che, per quest'anno, lo si sia lasciato da parte (in questo senso, il contrasto rispetto alle ultime quattro edizioni è evidente e stridente), puntando su una ricercatezza musicale che però, spesso, sconfina nell'esercizio di stile fine a se stesso, roba buona per mandare in brodo di giuggiole gli addetti ai lavori ma destinata a suscitare solo freddezza fra i veri consumatori di musica. Poi, certo, non mancano alcune proposte di più facile presa, ma questo è un altro punto dolente: nel senso che i brani maggiormente "commerciali" spesso non attingono vette elevate, sembrano esser stati scritti col freno a mano tirato, con la volontà di non rischiare puntando su soluzioni già sperimentate ma senza riuscire a riprodurne la freschezza. E' il caso, ad esempio, dei Modà, ma ci ritorneremo. 
SFIDA MENGONI - MODA'? - La prima classifica provvisoria, resa nota a tarda notte, è quanto di più prevedibile potesse esserci. Col solo televoto in campo, ovvio che i primi quattro posti venissero monopolizzati dai personaggi più popolari fra i giovani o da quelli usciti dai talent. Probabile che sabato, con l'entrata in scena della giuria di qualità, perlomeno Chiara e Annalisa siano destinate a lasciar spazio alla rimonta di Malika Ayane e di Elio e le Storie Tese: mi sorprenderei molto di non trovare sul podio "La canzone mononota". La prima graduatoria è invece da tenere in assoluta considerazione per quanto riguarda i due battistrada: è tutt'altro che impossibile che siano proprio Marco Mengoni e i Modà a giocarsi la vittoria finale. Proprio perché i loro pezzi sono quelli più immediati e quindi destinati a rimanere nel tempo e a farsi "canticchiare":  fra i due, mi sembra superiore "L'essenziale" di Mengoni, mentre Silvestre e i suoi compagni hanno portato una proposta più che mai fedele ai canoni della tradizione sanremese, un "Se si potesse non morire" valorizzato dalla voce di Kekko ma che non brilla per originalità, al punto che in alcuni passaggi sembra ricordare un po' troppo da vicino "Non è l'inferno", la canzone vincitrice di Sanremo 2012 che fra gli autori aveva proprio Silvestre.
Chiara Galiazzo, bistrattata dalla critica, in realtà ha un pezzo ben costruito nella parte musicale e con un refrain che lascia il segno: non sarà un capolavoro, ma scommettiamo che nelle radio si sentirà parecchio?  Annalisa Scarrone ha rischiato con una canzone dal sapore "vagamente retrò", come cantavano i Matia bazar in "Souvenir" nel 1985: una marcetta swing la cui impronta stilistica rischia però di confondersi, a un ascolto superficiale, con quella di "La felicità" di Simona Molinari, proposta più matura ed elaborata, resa efficacemente dal suggestivo duetto con Peter Cincotti. 

                                   Gualazzi ai tempi della vittoria fra i Giovani nel 2011


E DALLE RETROVIE... - Dicevamo delle probabili rimonte: Elio e Malika sono destinati a guadagnare diverse posizioni. Sulla genialità della "Canzone mononota" già mi son pronunciato, mentre "E se poi" è una malinconica e delicata ballata in punta di piedi, interpretata con piglio da veterana, una delle proposte migliori di questo Sanremo, anche se rimane la sensazione che  in passato la Ayane abbia fatto di meglio, anche sul palco dell'Ariston ("Niente", bocciata la prima sera, era quantomeno sullo stesso livello, e forse anche su un piano superiore). Fra il "buono" di questo Festival anche l'incalzante "Sai (ci basta un sogno)" di Gualazzi: il buon Raphael a tratti gigioneggia tentando arditamente di ripercorrere le orme di Ray Charles, ma tutto sommato l'opera ha spessore compositivo non indifferente, atmosfera e feeling per palati fini. 
Dalle retrovie potrebbe riemergere anche Max Gazzé con una "Sotto casa" che ha persino le stimmate del tormentone e si avvale di un impianto ritmico con echi balcanici, quasi alla Bregovic. Tutto il resto, compreso il minimalismo di Cristicchi, che ha azzardato una tematica forte (la morte) sviluppata danzando in equilibrio precario sul sottile filo che separa crudo realismo ed ironia, è destinato a non coltivare troppe speranze rispetto alla classifica finale (e il buon Simone è un altro che in passato ha scritto cose più corpose e di maggiore impatto), discorso che vale a maggior ragione per la burrosa Maria Nazionale: che ha voce e presenza scenica, ma canta un brano irrimediabilmente datato: davvero deludente lo sforzo autoriale degli Avion Travel, nella circostanza. Sensazioni personali: durante la strofa, sembra a tratti di risentire l'Angela Luce di "Ipocrisia", pezzo che si classificò secondo allo sfortunato Sanremo del 1975. 
I GIOVANI - Seconda semifinale per quelle che un tempo venivano chiamate "Nuove proposte", e seconda "testa illustre" fatta rotolare senza pietà: dopo Il Cile, è toccato ad Andrea Nardinocchi salutare la compagnia. Presentatosi con una consolle stile Cecchetto 1980, il ragazzo ha lanciato uno dei pezzi più contemporanei di questo Festival, per struttura, sonorità e testo, anche se la resa sonora sul palco non è stata eccelsa. E' passata invece Ilaria Porceddu, con una canzone fin troppo sanremese, il che non sarebbe un male, ma penalizzata da un'impostazione eccessivamente convenzionale, senza slanci, e non basta di certo ad accrescerne il valore l'inserimento di versi in lingua sarda. Il pezzo di Paolo Simoni scorre via senza lasciare traccia, mentre è sacrosanta la promozione di Antonio Maggio: "Mi servirebbe sapere" ha brio, è ben scritta ed elaborata senza tuttavia risultare pesante, e si avvale dell'originale controcanto del direttore d'orchestra Massimo Morini, leader del complesso genovese "Buio pesto". Sarà Maggio, credo, a giocarsi la vittoria di categoria con Renzo Rubino. Tuttavia, anche per i Giovani vale la considerazione fatta inizialmente a proposito dell'allestimento del cast dei Big: si è puntato troppo su stilemi cantautoriali, su composizioni complesse e poco digeribili, mentre si sta perdendo di vista l'orecchiabilità. C'è bisogno di più semplicità, che può anche fare rima con qualità, non mi stancherò mai di ripeterlo. 
LO SHOW - Poco da dire sullo show nel suo complesso: la serata del giovedì ha vissuto sulla discesa in campo dei Big al gran completo, il resto è passato in secondo piano. Quasi sottovoce la presenza di Roberto Baggio, in linea col carattere schivo dell'indimenticabile fuoriclasse azzurro, e un messaggio ai giovani forse un po' retorico, ma qualche buon consiglio ai ragazzi di oggi è sempre bene dispensarlo, visti anche gli esempi deteriori che queste nuove generazioni si vedono quotidianamente offrire da personaggi che invece, per ruolo pubblico e popolarità, dovrebbero essere d'esempio. E, a proposito di messaggi positivi, eccellente l'idea del flash mob contro la violenza sulle donne, introdotto da un sentito monologo di Luciana Littizzetto. E' però un peccato che queste iniziative vedano scendere in campo solo "l'altra metà del cielo": che impatto positivamente devastante avrebbe la partecipazione attiva di uomini a queste manifestazioni pubbliche?
Al Bano strabordante come sempre: della sua presenza invasiva sulle reti Rai ho più volte scritto, perlomeno questa volta la sua ospitata era giustificata dalla consegna di un premio alla carriera comunque meritato. Pare però che nel 2014 voglia tornare in gara: ma anche basta, no?  Infine, una curiosità: è ricomparso sul palco di Sanremo, per accompagnare Paolo Simoni, Marco Sabiu, direttore d'orchestra protagonista degli ultimi Festival targati Gianmarco Mazzi e accolto da un'ovazione del pubblico dell'Ariston: Fabio Fazio ha però glissato non troppo elegantemente, mentre sarebbe stato carino da parte sua fare anche un solo cenno al ruolo fondamentale del maestro nella buona riuscita delle passate edizioni. Serata di citazioni storiche: Sabiu ha gettato al vento il suo spartito, come l'orchestra da lui diretta a Sanremo 2010, ed Elio ha sfoggiato una giacca con due braccia finte, come nel 1996 (anche se all'epoca il braccio posticcio era uno soltanto...). 


giovedì 14 febbraio 2013

SANREMO 2013: FINITI I PRELIMINARI, STASERA INIZIA IL VERO FESTIVAL. CON ELIO CHE SPICCA IL VOLO...

                                   Annalisa: buon esordio sanremese, pur senza squilli

Su, allegri, che stasera comincia il Festival di Sanremo. Non avevo compreso fino in fondo il progetto della direzione artistica, e me ne scuso: con uno slancio di rimarchevole altruismo e democrazia, Fazio e la sua band hanno voluto rendere il pubblico, per la prima volta nella storia, partecipe della scelta delle canzoni in gara, e non solo della designazione dei vincitori assoluti. Le prime due serate sono state come un preliminare di Champions League, o se vogliamo la fase conclusiva del lavoro di preselezione: il concorso canoro vero e proprio è, nei fatti, solo quello che prenderà il via tra poche ore, riservato alle quattordici canzoni più votate. Del resto, per averne conferma basta dare un'occhiata alla tracklist della tradizionale compilation festivaliera: che, come pochissime volte è accaduto in passato, uscirà quasi una settimana dopo la conclusione della kermesse, e conterrà, per i Big, solo i brani destinati a giungere fino alla finale di sabato (anzi, nemmeno tutti: mancherà quello dei Modà). 
DOPPIO BRANO: PRO E CONTRO - Ecco perché, dunque, solo da stasera si comincia a fare sul serio. La novità delle due canzoni per ogni concorrente è stata, così, solo una mano tesa ai cantanti e alle loro case discografiche: una vetrina televisiva più corposa del solito, raddoppiata rispetto alla tradizione sanremese, di questi tempi è grasso che cola, e la possibilità di presentare più "estratti" della propria produzione invoglia a mettersi in gioco anche artisti solitamente allergici alla rassegna rivierasca. Sul piano spettacolare, però, l'esito dell'iniziativa è risultato invero assai modesto: sia a livello di suspence, alla luce del televoto - lampo, sia come appeal televisivo: la prolungata permanenza sul palco di ciascun interprete per l'esecuzione di due pezzi, format estraneo alla liturgia di Sanremo, fa in più di un'occasione scemare l'attenzione da parte di chi guarda e ascolta. C'è poco da fare: l'Ariston è palcoscenico da "one shot", una canzone e via: i mini - show, le performance prolungate, già sperimentate nel passato con altre modalità (per la precisione da Vittorio Salvetti nel 1977 e da Pippo Baudo nel 2003) sono risultate sempre difficili da digerire, e  hanno avuto vita breve. 
Poco male, comunque. Si riparte come ai vecchi tempi, tutti in pista con una sola proposta, e ciò consentirà finalmente di formarsi un'idea più precisa dei pezzi in gara, difficili da valutare nell'andamento lento, diluito e dispersivo delle prime due sere. La seconda puntata di Sanremo 2013 è stata comunque di buona resa spettacolare: uno show dai ritmi non elevatissimi, forse un po' datato ma comunque gradevole, e impreziosito da protagonisti complessivamente più "attraenti" rispetto a quelli del martedì. Il riferimento è soprattutto ai Big, con la discesa in campo (o salita? Boh...) dei grossi calibri rimasti rigorosamente dietro le quinte ventiquattr'ore prima. 
GLI ELII SBANCANO - In pista tutti o quasi i favoriti della vigilia, con Elio e le Storie tese che hanno fatto saltare il banco: non male "Dannati forever", ma quel piccolo capolavoro di genialità ed elaborazione musicale che è "La canzone mononota" potrebbe fare molta strada, addirittura fino al podio. I Modà questa volta non hanno rischiato, presentando due brani perfettamente in linea con la tradizione melodica sanremese, in particolare con una "Se si potesse non morire", risultata poi vincente, che pare costruita apposta per esaltare le doti vocali di Silvestre. Malika Ayane manda avanti quello che, di primo acchito, sembra il pezzo più banale e meno incisivo dei due: "E se poi" non vale l'intensa "Niente", in cui si avverte nitida l'impronta dei Negramaro. Anche Annalisa Scarrone prosegue la corsa con "Scintille", una ballata - marcetta swingante che senza dubbio mette in rilievo la sua vocalità poliedrica, ma è rimasta al palo "Non so ballare", che ha uno dei refrain più immediati di tutta la non facile proposta sanremese di quest'anno. 
GAZZE', CRISTICCHI E ALMAMEGRETTA OK - Si è rivisto il miglior Gazzè, sempre ispirato nella scrittura e sostenuto da rinforzi elettronici pop rock che hanno reso più penetrante soprattutto il pezzo bocciato, "I tuoi maledettissimi impegni".  Ottimo ritorno degli Almamegretta, il cui graffiante reggae "Mamma non lo sa" ha meritato il passaggio del turno. Cristicchi ha optato per due composizioni minimaliste  sul piano musicale ma, al solito, dai testi non banali: rispetto a "Mi manchi", originale rincorsa di improbabili similitudini sul tema della lontananza in amore,  meglio comunque "La prima volta (che sono morto)", l'argomento più drammatico che ci sia affrontato con una chiave di lettura ironica e scanzonata.

                                           Il Cile: vittima illustre tra i giovani
           
IL CILE E LE CANTONATE SANREMESI - Sul versante Giovani, la bocciatura clamorosa è quella de Il Cile: entrato Papa, è uscito cardinale come, in questa categoria, forse non accadeva dai tempi dei Negramaro, maltrattati a Sanremo nel 2005 nonostante avessero in gara uno dei loro evergreen, "Mentre tutto scorre". Visto l'illustre precedente, e viste le premesse che già fanno di questo ragazzo uno dei volti più popolari della nouvelle vague canora nostrana, il futuro dovrebbe dunque riservargli più di una soddisfazione. Di certo c'è che "Le parole non servono più" ha regalato uno dei ritornelli più orecchiabili di questo Festival, coronamento di una ballata che a tratti rimanda a certi stilemi "made in Ligabue", senza peraltro indulgere in scimmiottamenti. Insomma, ha l'aria di essere una delle cantonate storiche che il Festivalone si concede periodicamente, mettendo a repentaglio la propria credibilità. Le giurie gli han preferito, e passi, l'ispirazione cantautoriale di Renzo Rubino, e la costruzione tutt'altro che banale del suo "Postino". Qualche perplessità invece sulla promozione dei Blastema, certo una band dalle sonorità contemporanee ma non più originale di altre che, nel passato recente, han cercato di percorrere la medesima strada senza trovar fortuna. Comunque le "basi" per costruire qualcosa di buono le hanno, intendiamoci... Meno convincente di tutti ci è parsa Irene Ghiotto, buona presenza scenica ma proposta tutto sommato convenzionale, senza squilli. 
LO SHOW - In un clima dai toni smorzati per l'orribile lutto che ha colpito Franco Gatti dei Ricchi e Poveri, ha preso forma una serata sanremese gradevole, dicevamo all'inizio. Grazie ai concorrenti e grazie soprattutto all'ouverture di Beppe Fiorello, talento autentico, attore credibile in ogni sua interpretazione, mostruoso nell'interpretare il pur inimitabile Modugno. Del tutto pleonastica la presenza di Bar Refaeli, che nemmeno si è sforzata di imparare due parole in croce in italiano, a tratti urticante quella di Carla Bruni, che ha portato una delle sue composizioni leziose e cantilenanti senza che se ne avvertisse la necessità artistica: momento di spettacolo salvato solo dal duetto con Luciana Littizzetto.  
Di maggior spessore la performance di Asaf Avidan, la cui vocalità particolarissima è peraltro una di quelle che si ama o si odia: e il pubblico dell'Ariston la ha amata subito, sorprendendomi non poco. Neri Marcoré è andato sul sicuro indossando i panni di Alberto Angela, ma è risultato più convincente dello stranito Crozza del giorno prima: gustoso lo sketch con Fazio che gli ha fatto da spalla impersonando... il padre, ossia il mostro sacro del giornalismo Rai Piero Angela. Dopo il breve siparietto con voce di Bruno Vespa messo in scena nel corso della prima serata, si può ben dire che Sanremo 2013 stia riportando alla luce il talento "ibernato" da imitatore che ha consentito all'anchorman savonese di farsi precocemente spazio sulla tv pubblica, nei primi anni Ottanta. Forse è il caso di insistere. 

mercoledì 13 febbraio 2013

SANREMO 2013, PARTENZA IN MINORE: CROZZA SOTTOTONO E POCO EASY LISTENING

                                  Marco Mengoni: ha aperto il Festival con sicurezza

Sanremo 2013 è partito in punta di piedi. Sì, d'accordo, la contestazione a Maurizio Crozza: in realtà una tempesta in un bicchier d'acqua. Come negli stadi calcistici italiani, dove gli ultras sono in netta minoranza ma riescono puntualmente a farsi notare più degli altri per becerume e maleducazione, così all'Ariston sono bastate la paturnie di due - tre esagitati logorroici con tanto fiato in gola per far credere che, contro il comico genovese, si stesse scatenando chissà quale tempesta. Ci ritorneremo, ma va sottolineato come sia stato questo non irresistibile momento di televisione l'unico a regalare qualche brivido autentico. Sì, perché l'avvio del Festivalone è parso decisamente in minore: quasi quattro ore di spettacolo (esagerate, come al solito: quei contenuti potevano benissimo essere concentrati in un tempo più ristretto, tagliando almeno 60 minuti) filate via senza lasciare traccia, come l'acqua di sorgente. 
LO SHOW - L'avevo scritto ieri: non è stata felicissima la distribuzione dei quattordici Big nelle prime due serate. Tutti o quasi tutti i grossi calibri, i nomi più popolari e quelli più forti commercialmente, sono stati dirottati sulla puntata di mercoledì. Questa sera vedremo in lizza, fra gli altri, i Modà, Elio, Malika, Cristicchi. La differenza rispetto al cast del debutto balza agli occhi. Forse si è fatto troppo affidamento sul dato storico   secondo il quale il vernissage può contare in ogni caso su di una platea sconfinata, a prescindere dal nome dei cantanti, e verosimilmente si puntava molto sul sicuro effetto traino garantito da Crozza. Il quale ha solo in parte giustificato la grande attesa.
Il grande showman ha fatto il suo, senza strafare: par condicio rispettata in pieno, qualche battuta e qualche sketch riciclati dalle sue più recenti apparizioni su Rai Due e su La7 (forse perché è stato chiamato in extremis e ha avuto poco tempo per preparare qualcosa di inedito: ma nessuno lo obbligava a presentarsi, se si trattava solo di timbrare il cartellino...). Strano che un istrione come lui si sia trovato in palese difficoltà di fronte agli insulti iniziali: mi sarei aspettato qualche risposta salace ai contestatori, del tipo, chessò, "ditemi quando avete finito il vostro show, così poi posso cominciare il mio", o qualcosa del genere... La goffa protesta ha dimostrato prima di tutto che molti, in Italia, non hanno ancora ben chiaro il significato della parola "satira". Se poi la satira sia un format comico adatto al festivalone è valutazione del tutto soggettiva: per me ci può stare, per altri è avulsa dal contesto e tende a distrarre da tutto il resto: ma non è lo stesso effetto che avevano avuto le osannate performance di Benigni e Celentano, solo per restare agli esempi più recenti? Il fatto che poi dimostrazioni di pubblica insofferenza come quella inscenata ier sera giungano costantemente da esponenti o simpatizzanti della medesima fazione, dovrebbe indurre a più di una riflessione su quanto certi personaggi abbiano invelenito il clima sociale del Paese negli ultimi anni, ma non è questa la sede e quindi soprassediamo. 
LE CANZONI - Confermate le sensazioni della vigilia. Festival "alto" ha significato anche selezionare brani di impatto tutt'altro che immediato. I verdetti finali della doppia giuria sono stati però assolutamente fedeli alla  più consolidata tradizione della kermesse rivierasca: premiati i pezzi dalla linea melodica più convenzionale, quelli più morbidi e soffusi, rispetto alle proposte maggiormente vivaci e ritmate. Mengoni, che ha aperto la serata senza tradire la minima emozione, si avvale comunque di due composizioni dal ritornello destinato a farsi ricordare, mentre il duo tutto pop - jazz - swing Molinari - Cincotti ha fornito la performance col miglior impatto visivo, grazie a due brani ben congegnati, "colorati", orecchiabili e trascinanti. Con Gualazzi siamo su un piano cantautorale di alto profilo, fin troppo raffinato per una rassegna di musica leggera: di primo acchito le sue sembrano due composizioni di spessore notevolissimo, elaborate e complesse: riusciranno a far breccia nel cuore degli ascoltatori prima della fine della manifestazione? Non ci giureremmo... 
Daniele Silvestri porta avanti il suo brano più impegnato, "A bocca chiusa", e lascia a piedi un divertissement che ricorda un po' troppo da vicino il suo più grande successo di sempre, "Salirò", Maria Nazionale e i suoi autori non hanno saputo rinfrescare la più classica tradizione partenopea come, ad esempio, era stato in grado di fare Nino D'Angelo, le cui proposte sanremesi di inizio Duemila (ricordate la superba "'A storia 'e nisciuno"?) erano più avanti di queste datatissime "Quando non parlo" ed "E' colpa mia". Piuttosto convincenti Marta sui Tubi, che ben coniugano sperimentalismo e orecchiabilità non banale, da riascoltare Chiara Galiazzo, che prosegue la gara col pezzo più "radiofonico" dei due, ossia "Il futuro che sarà". Ma mai come quest'anno le impressioni del primo ascolto sono aleatorie e destinate ad essere riviste, magari in meglio, strada facendo: un provvisorietà di giudizio, lo ribadiamo, dovuta al distacco dall'easy listening che era invece stato il marchio di fabbrica (gradito) del Festival 2012. Perché ora come ora, ad esempio, non si intravedono motivi destinati all'immortalità, anche se le stimmate della canzone di respiro internazionale potrebbero venir fuori dalle due proposte firmate Gualazzi. 
I PRESENTATORI - Nota lieta della serata, la conduzione a due Fazio - Littizzetto è filata via senza intoppo alcuno. La coppia è ultra - collaudata, e i due si sono mossi con perfetto sincronismo, intesa totale e abilità da consumati animali da palcoscenico: e la maniera in cui Fabio ha gestito l'incidente - Crozza in diretta lo dimostra ulteriormente. Anche qui nulla di nuovo: lo schema è arcinoto per chi segue questa curiosa "coppia di fatto" a "Che tempo che fa", la pacata ironia di lui a mitigare lo  sferzante sarcasmo di lei (per quanto un po' ingessato dalla liturgia sanremese), ma non era affatto scontato che il meccanismo funzionasse anche su quel pianeta televisivo - spettacolare a sé stante che risponde al nome di "Festival della canzone italiana". 
POLITICA - Gli agitatori in servizio permanente effettivo (e i soliti giornali...) hanno ravvisato nell'intervento di Crozza lo sconfinamento "elettoral - propagandistico" del festivalone. Non accorgendosi che il vero atto politico della serata è stato rappresentato dalla duplice ospitata di Marco Alemanno, compagno di arte e di vita degli ultimi anni di Lucio Dalla, e soprattutto dei due gay in procinto di sposarsi all'estero. E che messaggio politico è stato, quest'ultimo! Un qualcosa di rivoluzionario, altroché, e forse anche, diciamolo, un po' fuori contesto artisticamente: la pagina più "faziana" dell'intero primo atto sanremese, qualcosa che ci saremmo aspettati di vedere più a "Vieni via con me" che all'Ariston, ma se Sanremo 2013 può servire in qualche modo anche a veicolare una spinta alla maturazione civile del popolo italiano (e di chi lo governa), beh, ben venga, no? 

martedì 12 febbraio 2013

SANREMO 2013 AL VIA: IL NUOVO CORSO RIUSCIRA' A CONVINCERE GLI SCETTICI? E INTANTO CROZZA...

                                               Modà: nel novero dei favoriti

Poche ore al via del Festival di Sanremo, e l'atmosfera attorno a questa edizione numero 63 pare alquanto freddina. La sensazione è che la kermesse griffata Fabio Fazio - Mauro Pagani sia guardata con perplessità da più parti: persino, e la cosa ha dell'incredibile, da qualcuno all'interno della stessa azienda che il Festival lo produce e lo manda in onda. Al di là delle strumentalizzazioni politiche già in atto da parte di certa stampa, il battage mediatico che sta introducendo l'evento tv dell'anno non è nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che è avvenuto tante volte in passato. Spazi televisivi ridotti al minimo indispensabile, e le famigerate trasmissioni - chiacchiericcio della mattina e del pomeriggio insolitamente distaccate (almeno finora...), laddove fino a dodici mesi fa traevano dalla kermesse rivierasca linfa vitale per puntellare l'audience. Zero assoluto, o quasi, anche sul piano dei servizi rievocativi sulla storia di Sanremo: scarseggiano persino le inflazionatissime riproposizioni dei medesimi filmati di sempre (gli esordi di Ramazzotti e Vasco Rossi, Rino Gaetano, ecc.).
"ARRIDATECE I NAZIONALPOPOLARI!" - Cosa succede, dunque? Forse a molti non è andata giù la svolta "alta" impressa  al carrozzone festivaliero da Fazio e dal suo gruppo di lavoro. Soprattutto, non è andata giù la drastica riduzione dello spirito nazionalpopolare del Festivalone. Si sprecano, da parte di questa "fronda", gli interrogativi di fronte a un cast di Big che, per molti professionisti dell'entertainment televisivo generalista, risulta quantomeno astruso, e si versano lacrime per l'assenza dal cartellone dei mostri sacri del bel canto nostrano, tanto amati dalla tv di Stato. Che Sanremo potrà essere mai, continuano a domandarsi inconsolabili, senza Al Bano e Toto Cutugno in gara, senza Marcella e Fausto Leali, senza la Vanoni e senza la Oxa? Già, Anna Oxa: proprio lo spazio abnorme che si sta concedendo alla triste protesta della cantante pugliese contro la propria esclusione del Festival è sintomatico dello strano modo di agire da parte di certe trasmissioni, un tempo più che mai ben disposte nei confronti della rassegna canora: gode di una ribalta più sostanziosa, sul piano quantitativo, chi a Sanremo non è stato invitato e se ne adonta pubblicamente, rispetto a chi a Sanremo ci andrà da protagonista. 
CONTEMPORANEITA' - Perché? E' chiaro che "l'intruso" Fabio Fazio, preso in prestito da Rai Tre, ha introdotto una concezione del Festival radicalmente diversa dai criteri artistici che, ormai, sembrano essere diventati prevalenti sulla rete ammiraglia. L'anchorman savonese ha voluto imprimere una brusca accelerata al processo di svecchiamento del carrozzone festivaliero già massicciamente intrapreso da Gianmarco Mazzi negli ultimi quattro anni, avvicinando ulteriormente l'universo Sanremo alla realtà musicale di oggi, e a ciò che accade sul mercato discografico nel 2013.
E' pazzesco: per anni si è rimproverato al Festival di mancare di contemporaneità in termini di cantanti e di canzoni, di vivere in un mondo parallelo animato da interpreti amati da un pubblico fin troppo adulto ma, nella sostanza, deboli commercialmente: e ora che questa contemporaneità si sta faticosamente realizzando, ecco spuntare i musi lunghi e gli insoddisfatti. Una schizofrenia che è figlia della dicotomia con cui la popolare kermesse deve fare i conti, da quando è stata presa in gestione diretta dalla Rai, ossia dal 1992: coniugare qualità canora e ascolti televisivi, cercando di dare la preferenza a questi ultimi. Solo che fare ascolti alti, su Rai Uno, significa spesso e volentieri puntare sull'usato sicuro, sugli ultraveterani, su un registro "medio", da intrattenimento che più leggero non si potrebbe. Avete presente una trasmissione tipo "I migliori anni"? Ecco, quello è il paradigma dello show ideale per il primo canale. Nulla di male, intendiamoci, ma Sanremo è qualcosa di ben più importante.
ANNI SESSANTA FOREVER - Il nostalgismo oltranzista di Rai Uno ha creato dei miti di cartapesta ingigantendoli oltre il loro effettivo valore storico, e ha inculcato nel telespettatore medio l'idea che senza tali miti la tv sia più povera: così, personaggi come Al Bano e Massimo Ranieri sono sempre più massicciamente presenti sui teleschermi (e il primo lo ritroveremo anche all'Ariston). Il culto del passato e delle vecchie glorie, in sé per sé tutt'altro che condannabile, su Rai Uno ha... saltato un giro: il gusto musicale si è fermato ai primi anni Ottanta, e privilegia comunque i divi dei Sessanta. Un racconto troppo parziale della storia canora del nostro Paese, per cui i protagonisti di quegli anni, spesso ormai logori e sfiatati, devono essere tenuti artificiosamente in vita artistica all'infinito. Si era così arrivati al punto, tornando a Sanremo, di assistere a un'edizione del Festival, nel 2009 che schierò orgogliosamente in gara Al Bano (aridaje), Fausto Leali, Patty Pravo e Iva Zanicchi. Nel 2009, lo ripetiamo. Roba da matti, eppure, secondo una mentalità ancora pericolosamente diffusa sia tra il pubblico sia tra gli addetti ai lavori, senza di loro non si può fare un Sanremo che si rispetti.

                                            Crozza: mattatore della prima serata

SMUOVERE IL PUBBLICO - Segno di pigrizia mentale, segno che talvolta il pubblico deve essere smosso, ed educato nei gusti, anche con scelte coraggiose e inizialmente impopolari, come potrebbero rivelarsi quelle del terzo festival faziano. Che forse, ma lo si può dire solo col senno di prima, ha sbagliato  soltanto una mossa: l'aver optato per una inversione di marcia radicale, quando forse sarebbe stato migliore un passaggio graduale alla nuova realtà, per non traumatizzare il pubblico. Su questo ho un'idea ben precisa: viva la contemporaneità e largo ai giovani, ma temperando la linea artistica con qualche scelta un po' più popolare, con qualche nome maggiormente televisivo. Attenzione però, non i mostri sacri di cui sopra, gente che era già veterana nel 1984 e che ha continuato ad usufruire di spazi esagerati, a danno della generazione di mezzo, di quei cantanti affermatisi fra la fine degli Ottanta e i Novanta e che, dopo aver toccato il picco del successo, sono stati rrepentinamente oscurati, mandati in pensione anticipata pur essendo ancora nel cuore della gente e pur avendo ancora molto da dire. Qualcuno, tipo Mietta, sta ora faticosamente riemergendo dopo anni di oblìo: spero che altri suoi coetanei possano presto tornare alla luce del sole...
APRE CROZZA - Dunque, con qualche riserva ma con un sostanziale apprezzamento nei confronti della nuova linea editoriale festivaliera, prepariamoci alla consueta full immersion... rivierasca. Sanremo 63 l'ho presentato nei giorni scorsi in questo articolo (gettonatissimo: ringrazio tutti i lettori): nel frattempo si è aggiunto il colpaccio Maurizio Crozza, che ad occhio e croce dovrebbe assicurare l'adeguato boom di audience a una prima serata che, effetto attesa a parte, rischiava forse di risultare un po' deboluccia sul piano dell'appeal, visto che i Big più famosi e quotati fra quelli in concorso sono stati inseriti nella scaletta del mercoledì. Oltretutto, per il comico genovese è una collocazione televisivamente assai furba e "strategica": martedì è il "suo" giorno, perché è solitamente il giorno di Ballarò (che non a caso questa settimana è stato spostato a domenica), trasmissione che viene aperta proprio dal tagliente sketch - monologo dell'ex Broncoviz, un appuntamento divenuto irrinunciabile per milioni di italiani...
CANZONI AL CENTRO - La gara, quest'anno più che mai al centro, non ha un favorito designato, come poteva essere il Vecchioni del 2011. Tendenzialmente, punterei su un pokerissimo formato da Modà, Gualazzi, Malika Ayane, Elio e le Storie Tese e Mengoni; outsider, Cristicchi e Chiara Galiazzo, potenziale nuovo "fenomeno" della canzone italiana. Le pagelle degli esperti, di coloro che hanno avuto il privilegio di ascoltare in anticipo i brani (privilegio al quale rinuncio volentieri: il fascino del Festival risiede anche nel poter aspettare le serate sanremesi per ascoltare tanti inediti tutti in una volta), sprizzano entusiasmo da tutti i pori. Occhio, perché solitamente ciò che piace a certi critici con puzza sotto il naso solitamente fa fatica a sfondare il muro del gradimento popolare. Anche in questo caso, l'ideale sarebbe percorrere la via di mezzo: non capolavori compositivi per pochi eletti o sofisticate elaborazioni cantautoriali, ma brani ben confezionati, non banali ma comunque in grado di catturare l'orecchio e di arrivare al cuore. E' questo ciò che si chiede a Sanremo, non opere d'élite. Aspettiamo fiduciosi: mai come quest'anno, più che "buona visione" è assai più opportuno dire: "Buon ascolto!".

domenica 10 febbraio 2013

FESTIVAL DI SANREMO: GLI ESCLUSI CHE HANNO FATTO LA STORIA (VOLUME 2)

L'anno scorso, di questi tempi, uno dei primi articoli "boom" del mio giovane blog fu quello dedicato ai grandi "esclusi" nella storia del Festival di Sanremo, ossia quei brani non ammessi a partecipare alla kermesse rivierasca ma che, in seguito, ebbero comunque modo di emergere e di farsi apprezzare, o comunque di far parlare di sé. Opere, insomma, che pur non superando l'esame delle varie commissioni esaminatrici, una piccola o grande traccia nella storia musicale italiana la lasciarono. Citai, fra le altre, "Il Riccardo" di Gaber, "Sangue al cuore" dei Nomadi,  "Un'auto targata TO" di Dalla. Ma di materiale ce n'è in abbondanza per sfornare una seconda puntata di questa "passerella dei delusi".
Partiamo dal 1973, quando Sanremo mancò l'occasione di lanciare in orbita quello che sarebbe diventato uno dei più grandi cantautori dei successivi quarant'anni. Dopo il felice debutto a capo dei Delirium, dodici mesi prima (Jesahel è un evergreen festivaliero), il giovane Ivano Fossati si presentò come solista, con "Vento caldo", ma non convinse la commissione selezionatrice.



Saltiamo fino al 1981. Curiosa la vicenda che coinvolse il complesso "La Bottega dell'arte", già in gara al Festival l'anno precedente, nella categoria Big. Inserito inizialmente nell'elenco dei partecipanti con il brano "Vecchio rock", che si stacca un po' dal loro consolidato stile, il gruppo fu poi costretto a rinunciare "per ragioni discografiche" (così almeno scrissero i giornali dell'epoca) e venne sostituito da Orietta Berti. Sarà stato un caso o forse no, ma da quel forfait  per "La Bottega" iniziò la parabola discendente.



Ed ecco una delle esclusioni ancora oggi più discusse e contestate. Tante le richieste di partecipazione al Festival dell'85 e molti i nomi illustri che rimasero fuori: fra questi, Mia Martini, che dovette accontentarsi di essere nominata "riserva", insieme a Bobby Solo, Sergio Caputo e i Passengers. Una scelta considerata da molti delittuosa: il suo pezzo, "Spaccami il cuore", è indubbiamente una composizione raffinata ed elegante, che porta la firma di Paolo Conte, nientemeno. In realtà, si tratta di una canzone che necessita di numerosi ascolti prima di far breccia, e che personalmente, nonostante il prestigioso autore, a tutt'oggi non mi sento di considerare come una delle migliori del repertorio della compianta interprete calabrese. Va però anche detto che, visti certi brani mediocri invece accettati in gara quell'anno (in primis "Notte serena" di Christian), questo avrebbe letteralmente giganteggiato. Mia potè poi presentare "Spaccami il cuore" ad altre due manifestazioni organizzate da Gianni Ravera, l'inedita "Poker di maggio" (proprio al teatro Ariston, fra l'altro: kermesse a squadre che si svolse solo quell'anno) e la classica "Saint Vincent estate".



Ancora un bel salto, stavolta fino al 1993. Dopo due secondi posti nel girone dei giovani, Irene Fargo, voce avvolgente e stile originale, tentò l'iscrizione fra i Big, ma la sua "Non sei così" non superò l'ultima selezione. Un testo rabbioso contro un uomo arido, senz'anima, forse anche crudele, dal quale non si può che fuggire.



Anche nel 1994 i selezionatori, capitanati dal nuovo direttore artistico Pippo Baudo, fecero "strage" di nomi illustri e di proposte tutt'altro che modeste, come "La sua figura" di Giuni Russo.



Nello stesso anno, ci provò Little Tony con un pezzo forse non del tutto nelle sue corde. "Dentro ad ogni cosa" ha spessore e una scrittura non banale: raggiungerà comunque il successo negli anni successivi, proposto direttamente dagli autori, il gruppo degli Audio 2, in un'incisione impreziosita addirittura dalla voce di Mina.



1997, primo anno del dopo Baudo. Il cast dei Big risultò un po' debole sul piano dei nomi (mentre molti brani si riveleranno inaspettatamente validissimi e destinati a durare nel tempo), e una composizione delicata come "Piano inclinato" di Mariella Nava ci sarebbe stata senza scandalo. 



Nel 2002, ennesima delusione per Marcella, che da anni tentava un ritorno all'Ariston (e ci riuscirà, come concorrente, solo nel 2005, dopo un'ospitata nel 2004). Non male davvero questa "La regina del silenzio", griffata Renato Zero.



Altra sfilza di musi lunghi nel 2003. Scatenò non poche polemiche l'esclusione dei Velvet con "Miss America", brano con un sottotesto politico nemmeno troppo mascherato (e particolarmente coraggioso in quel periodo: ricordiamo che eravamo nell'epoca delle Torri gemelle e delle successive guerre in Afghanistan e Iraq), un rock ottimamente costruito, dall'impianto contemporaneo e di notevole impatto.



Nello stesso anno, rimase fuori anche Mietta, il cui pezzo, "Abbracciati e vivi", pop moderno dalle sonorità elettro - dance, non avrebbe certo sfigurato.



Siamo al 2009, l'inizio di una nuova era per Sanremo, dopo il fallimento (in termini di audience) dell'edizione 2008 che aveva addirittura messo a repentaglio la sopravvivenza stessa della kermesse. Il duo Bonolis - Mazzi riuscì a risollevare e a svecchiare la manifestazione, ma rimango dell'idea che si potesse far meglio nell'allestimento del cast dei Big, ad esempio dando spazio a questa intensa "Se veramente Dio esisti", composizione degli Avion Travel, i quali dopo la sorprendente vittoria del 2000 non hanno più trovato spazio all'Ariston.



Chiudiamo con un "jolly": Don Backy, già altre volte citato su questo blog, assente da Sanremo dai primi anni Settanta. Più volte ha tentato di rimettervi piede, e mai le sue proposte sono state prese in considerazione. Nel 1995 arrivò addirittura al punto di inscenare una clamorosa protesta pubblica: nudo davanti al Colosseo, in segno di ribellione nei confronti di quello che riteneva un inspiegabile ostracismo decretato nei suoi confronti dalla Rai. Di certo c'è che questo cantante e autore dalla sensibilissima vena poetica non ha potuto usufruire di tutti gli spazi mediatici che altri artisti suoi contemporanei hanno continuato ad avere, anche quando il loro astro era ormai irrimediabilmente in declino. Fra i vari pezzi presentati da Don Backy alle selezioni per il Festival, ricordiamo "Se io fossi amore", che nel 2002 avrebbe dovuto interpretare in coppia con Milva. Brano di stampo tradizionale ma di indubbio effetto.


giovedì 7 febbraio 2013

BRUTTA ITALIA IN OLANDA: RIPARTIRE DAL "VECCHIO" BUFFON E DALLO SCRICCIOLO VERRATTI

                                Osvaldo: fra le poche note liete azzurre ad Amsterdam 

Possono bastare dieci minuti all'arma bianca per riscattare una partita che più grigia non sarebbe potuta essere? No, ragionevolmente no, anche se quel finale in cui gli azzurri han messo a ferro e fuoco l'area olandese è valso perlomeno a rompere l'incantesimo statistico, scongiurando in extremis la sesta sconfitta consecutiva in amichevole, un'onta francamente inaccettabile per la squadra vicecampione d'Europa pur trattandosi di partite senza nulla di concreto in palio. L'1 a 1 di Amsterdam soddisfa dunque le esigenze degli almanacchi, mentre rappresenta un passo falso clamoroso sul piano della qualità della prestazione, nonché su quello dell'immagine che, negli ultimi due anni, la Nazionale italiana ha saputo trasmettere al mondo intero. 
AZZURRI AI MINIMI TERMINI - Guai, in occasioni del genere, a farsi condizionare dal risultato positivo, e soprattutto dall'ultima impressione, quella lasciata dagli assalti finali alla porta Oranje, coronati dal gol gioiello di Verratti. Dieci minuti, o giù di lì, sono solo una debole fiammella accesasi in un'ora e mezza di buio pressoché totale. Parliamoci chiaro: una partita così brutta, l'Italia non la giocava probabilmente dagli albori dell'era Prandelli, penso ad esempio allo squallido 1 a 1 di Klagenfurt con la Romania. Non ha funzionato alcunché o quasi, e fino ai fuochi d'artificio sul filo del rasoio era emersa solo la grandezza di Buffon, uno a cui occorre solo augurare di percorrere fino in fondo l'identica parabola agonistica dell'illustre predecessore Dino Zoff: chi Iddio lo conservi ancora a lungo su certi standard, il buon Gigi, rimasto da solo per larga parte del match ad opporsi alle bordate olandesi: unico a tenerci in partita, sventando almeno tre palle gol, unico ad aver interpretato questa sfida col piglio giusto, il piglio del professionista che, ovviamente entro i limiti dettati dagli stimoli e dalla consistenza della posta in palio, non deve far distinzione fra impegno amichevole e incontro coi tre punti in palio. 
LE AMICHEVOLI SONO UN IMPICCIO? - C'è chi dirà che, nel pieno della stagione agonistica, col campionato che sta entrando nel vivo e la ripresa delle Coppe ormai alle porte, questi "test match" risultino più un impiccio che altro, per i calciatori. Storia vecchia, che l'ardore agonistico dell'Olanda ha smentito in corso d'opera e della cui infondatezza, del resto, gli stessi azzurri hanno dato dimostrazione più volte, anche in tempi recenti (ultimi esempi, le gare di Dortmund contro la Germania nel febbraio 2011, o contro la Spagna a Bari nell'agosto dello stesso anno, e persino quella di pochi mesi fa con la Francia a Parma, persa immeritatamente). Non esiste una regola in tal senso, se non quella che la concentrazione massima, per partite di questo genere, a volte è presente e a volte no. Dipende da tanti fattori, non necessariamente dalle distrazioni provenienti dai club. Resta il fatto che si è trattato di un'occasione buttata via, un autobus perso sulla strada della maturazione, del perfezionamento del profilo internazionale del gruppo. 
FALLIMENTARI - Quasi nulla ha funzionato, dicevamo, a partire da una difesa costantemente in affanno, più sul piano collettivo che su quello individuale: perché Astori, ad esempio, non ha fatto male, offrendo alcune chiusure effettuate con gran tempismo, ma è mancato il sincronismo nei movimenti di tutto il reparto. Centrocampo di carta velina, nel filtro come in fase di rilancio e impostazione, tanto che la costruzione del gioco d'attacco, per larghissimi tratti dell'incontro, semplicemente non è esistita. E la prima linea, soprattutto in Balotelli ed El Shaarawy, ha risentito di questa assoluta inconsistenza della manovra, rimanendo abbandonata a se stessa e affidandosi a sporadici spunti individuali quasi costantemente frustrati da una retroguardia arancione rimpolpata e rinvigorita, nemmeno lontana parente della banda del buco di Euro 2012. Più in generale, il modulo 4-3-3, per la verità piuttosto "spurio" visto il tridente atipico con Candreva, non mi pare il più funzionale per una rappresentativa cresciuta e consolidatasi percorrendo altre strade tattiche. Ma è stato l'atteggiamento complessivo sul terreno di gioco ad essere da squadra modesta, involuta, svogliata, priva di personalità: timorosi in ogni fase del gioco, i nostri, rinunciatari e remissivi, tanto da consentire più volte agli avversari di giungere senza contrasto fino ai limiti dell'area, dove Van Persie, Lens e compagni venivano poi affrontati senza decisione e con scarsa reattività. 
Insomma, una partitaccia che, oltre ai citati Buffon e Astori, di buono ha mostrato solo l'intraprendenza di Abate nelle sue sgroppate offensive, retaggio di un passato da esterno alto ai tempi dell'Under 21, inserimenti peraltro non supportati da adeguata precisione in fase di cross, e un Balotelli che, pur al 30 per cento delle proprie possibilità, è stato l'unico, nel desolante primo tempo, a minacciare la porta di Krul con un destro potente ma impreciso. Sugli altri, meglio stendere il classico velo pietoso. Poi, i i tanti cambi e la svolta, tardiva sul piano del gioco ma efficace ai fini del risultato: Florenzi ha portato intraprendenza e coraggio, Diamanti tanto movimento anche se, alla resa dei conti, poca lucidità e incidenza nulla in avanti, mentre Osvaldo e Gilardino sono andati a costituire una coppia estemporanea ma imprevedibilmente efficace, col romanista a sfiorare due volte la marcatura di testa e il bolognese a chiamare il portiere a una deviazione prodigiosa su tocco ravvicinato. 
GILA C'E'! - Gila non è il futuro di questa nostra Nazionale, ma la mini - prestazione di stasera è importante per la sua autostima, e rappresenta in fondo una sonora, simbolica rivincita nei confronti di chi troppo frettolosamente, alle prime avversità, appiccica etichette di "giocatore in declino" o "da pensione". Già nella disgraziata parentesi genoana, prima dell'infortunio, aveva mostrato la sua grandezza di centravanti completo, abile a far gol ma anche a giocare per i compagni, a tenere su la squadra, a creare varchi e fornire assist. A Bologna, pur in un contesto complessivamente modesto, si è ritrovato, dopodiché è chiaro che il domani azzurro passa principalmente attraverso Supermario, il Faraone e altri giovanotti, magari anche quel Borini appena riemerso da un lungo stop. Ma, dietro le quinte, lui c'è ancora, pronto per mortiferi blitz part time. 
VERRATTI, BATTESIMO DEL GOL - Da Amsterdam, Prandelli riporta in patria una sola, autentica gemma, il battesimo del gol di Verratti, talento purissimo che ancora fatica a uscire dal bozzolo in azzurro, che dispensa le sue geometrie con discontinuità (ma, del resto, con discontinuità viene utilizzato, e in spezzoni di gara non è che si possa sempre dare il meglio di sé, soprattutto quando si ricopre un ruolo così delicato), ma che non si risparmia e sa votarsi al sacrificio, se necessario, vista la capacità di far legna e interdizione. Un bel segnale, il suo sinistro morbido e chirurgico a fil di sirena, l'unico di una serata che non ha dato né lustro all'albo d'oro, né indicazioni importanti e definitive al cittì. Un'Olanda - Italia che, in definitiva, non aggiunge nulla al percorso di formazione del gruppo azzurro sulla strada di Brasile 2014. Un'occasione gettata alle ortiche, lo ribadiamo.
SPERIMENTARE - Forse è sbagliata la concezione di fondo: ai tempi della gestione Bearzot, c'era un famosissimo e bravo giornalista, Gualtiero Zanetti, che contestava il trainer perché, nelle amichevoli, schierava quasi sempre i titolari, gli stessi, noti e stranoti, che disputavano le gare ufficiali, da Zoff a Cabrini, da Scirea a Tardelli, da Causio a Paolo Rossi; la celebre prima firma del Guerin Sportivo (e opinionista della Domenica Sportiva) sosteneva che nei test match sarebbe stato più giusto sperimentare, cercare alternative valide ai mostri sacri della prima squadra. Ecco, forse ora come ora il criterio da seguire sarebbe questo. Si badi, non come regola aurea, ma adatta al momento storico, alla contingenza che sta vivendo la nostra selezione: all'alba del 2013, la Nazionale ha ormai una sua fisionomia sufficientemente definita, delineatasi in due anni e mezzo di gare ad alto livello e sublimatasi in un ottimo Europeo. E' una squadra che, per l'80 - 90 per cento della sua abituale formazione tipo, può tranquillamente reggere fino al Mondiale, necessitando solo di alcuni ritocchi e di un gruzzolo di "titolari aggiunti". Bene, si utilizzino allora questi test match in tal senso, dando ampio spazio alle attuali seconde linee: sugli esiti tecnici e tattici non garantiamo, ma lo spirito giusto per affrontare l'impegno non mancherà, e i subentrati di questa sera, con la loro voglia e la loro aggressività, lo hanno dimostrato in maniera inequivocabile. 

martedì 5 febbraio 2013

SANREMO 2013, MENO SETTE AL VIA: SARA' UN FESTIVAL SPIAZZANTE

                             Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, padroni di casa a Sanremo

Sarà uno strano Sanremo, quello che prenderà il via fra una settimana esatta. Strano e insolito perché, come mai in passato, sarà contraddistinto da una linea artistica "alta". Sì, proprio il regno dei divi pop, della canzone leggera e commerciale, del glamour, dei lustrini; la manifestazione in cui, anche nelle edizioni più "sofisticate", non sono mai mancate abbondanti dosi di rassicurante "nazionalpopolarità", nel 2013 ha fatto una scelta di campo diversa, coraggiosa e forte. Quello emerso dalla rituale conferenza stampa di presentazione, andata in scena ieri, è un Festival non convenzionale, che cerca di guardare oltre il ristretto ambito della musica di facile presa. 
SCELTE "ALTE" - Il primo segnale era arrivato con la scelta dei quattordici Big in concorso: nessun habituè di Sanremo, nessun "prezzemolino" rivierasco, nessun cantante "stagionato", ma tanti giovani e artisti non banali, fuori dai classici circuiti discografici e mediatici. Per non parlare della novità clamorosa dei due brani in gara per ciascun partecipante, sconvolgimento assoluto di uno dei punti cardine della liturgia festivaliera. Ma gli organizzatori non si sono fermati lì, e nell'allestimento complessivo dello spettacolo hanno allargato il solco: il palco su cui un tempo si esibivano i Duran Duran e gli Spandau Ballet, i Take That e gli One Direction, Jennifer Lopez e Shakira, quest'anno accoglierà Asaf Avidan, Anthony Hegarty degli Anthony and the Johnsons, Caetano Veloso. E là dove Pippo Franco presentò i suoi simpatici e gettonatissimi tormentoni fanciulleschi anni Ottanta, da "La puntura" a "Chichichì cococò", compariranno i maestri Daniel Barenboim e Daniel Harding, nonché il ballerino Lutz Forster: nomi da teatro lirico più che da festival della canzone italiana. Se poi aggiungiamo che il vernissage della kermesse vivrà anche nel segno della celebrazione del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, il quadro risulta completo. Ed è un quadro spiazzante, non vi sono dubbi. 
SI VOLTA PAGINA - Veniamo da un quadriennio festivaliero in cui Gianmarco Mazzi e i suoi collaboratori hanno puntato decisamente sull'easy listening (con qualche concezione al cantautorato nobile, vedi Vecchioni), sui brani ad impatto immediato, sui nomi "sbanca Auditel" (Celentano, Benigni) chiamati ad arricchire lo show. Lo hanno fatto con acume, con scelte rivelatesi vincenti sia sul piano del gradimento televisivo sia su quello discografico. Ma ora è stata voltata pagina, anzi, si è proprio cambiato libro. Si dirà che prima o poi qualcuno avrebbe comunque dovuto farlo, che non ci si può appiattire in eterno su un modo di fare tv oltremodo popolaresco, che bisogna cominciare, gradualmente, ad "educare" il pubblico catodico ad apprezzare e gustare qualcosa di più consistente. Tutto giusto, ma c'è da chiedersi se il luogo e, soprattutto, le modalità siano quelle giuste. Perché si passa dalla notte al giorno, c'è un capovolgimento completo dei criteri artistici, e il rischio che i telespettatori rimangano straniti davanti a tale "rivoluzione copernicana" è più che concreto. 
ADDIO "MESSA CANTATA" - Fabio Fazio ha voluto portare nel suo terzo Festival la sua impronta stilistica, ed è giusto così. Il dubbio è che lo abbia fatto in maniera troppo immediata e massiccia. E' forse la scommessa più perigliosa e affascinante azzardata dalla tv di Stato in questi ultimi anni. Perché finché porti la Divina Commedia o la Costituzione italiana su Rai Uno, sai comunque di avere le spalle coperte se ti affidi a un mostro sacro come Roberto Benigni. Ma Sanremo 2013 andrà oltre: musica classica e danza, e artisti italiani più che mai contemporanei e poco reclamizzati. Difficile da digerire per i fruitori della rete ammiraglia, ma anche per tutti quegli appassionati del Festival cresciuti secondo una concezione sanremese tipicamente baudiana, quella della messa cantata animata da cantanti stranoti e popolarissimi, ancorché in buona parte ormai avulsi dal mercato discografico e lontani dai gusti dei giovanissimi, e arricchita da vedettes internazionali della musica, autentici campioni di incassi. 
Ecco, visto che forse portare all'Ariston i grandi nomi del pop e del rock straniero sarebbe stato comunque impossibile, in tempi di grave crisi economica, Fazio e il suo entourage hanno scelto di non adottare vie di mezzo, ibridi che avrebbero forse dato la sensazione di una mancanza di coraggio e di idee chiare. E' quanto emerge anche nella scelta degli ospiti un po' più "convenzionali". Neri Marcoré e Claudio Bisio non sono comici di grana grossa o di cassetta (soprattutto il primo), ma attori a tutto tondo in grado di esplorare diversi territori recitativi. Se pensiamo che l'anno scorso c'erano sì i bravissimi Alessandro Siani e Geppi Cucciari, ma anche i Soliti Idioti, anche in questo caso il salto di qualità risulterà evidente. E il nome di punta del cast, quello destinato a fare impennare gli ascolti, sarà Andrea Bocelli, certo non collocabile fra le star del pop tout court, ma fuoriclasse trasversale e in grado di intercettare diverse fasce di gradimento. 
Criterio identico per la classica ospitata del campione calcistico di turno: dove tre anni fa fu presente Antonio Cassano (una delle pagine più tristi dell'intera storia della kermesse), la settimana prossima troveremo Roberto Baggio. Fuori dagli schemi e particolarmente significativa anche la presenza di Marco Alemanno, compagno di vita e d'arte degli ultimi anni di Lucio Dalla: una scelta eticamente forte, controcorrente, che solo il carisma di Fazio, probabilmente, poteva imporre sulla prima rete Rai... 

                                     I Ricchi e Poveri: finalmente di nuovo all'Ariston

I VETERANI - Il "contentino" al grande pubblico sarà dato dalla convocazione di tre "fuoriquota": ma la presenza di Al Bano, Toto Cutugno e i Ricchi e Poveri è, in fondo, niente più che uno stringato omaggio a  una componente significativa del DNA del Festival, quasi la voglia di chiudere con un festoso happening un capitolo importante e indimenticabile di Sanremo e della musica italiana, per iniziarne subito un altro, più ricco di fermenti, più al passo con la contemporaneità, più presente nella realtà canora nostrana. Mettiamola così: fino a ieri, fino a troppo poco tempo fa, questi simpatici veterani continuavano a frequentare la gara, pur avendo un appeal discografico ormai ridotto ai minimi termini e pur non aggiungendo nulla (anzi, spesso togliendo) alle loro carriere onuste di gloria; a Sanremo 2013 li troveremo fuori concorso: un modo delicato, e con tutti gli onori, di far capire loro che c'è un tempo per tutto, e arriva presto anche il momento di rendersi conto che il palcoscenico più importante e prestigioso bisogna lasciarlo ad altri, più giovani, ugualmente bravi, con qualcosa di originale da dire e meritevoli di spazio. Interpretazione mia, ovviamente. 
AL BANO E OXA - Contentissimo comunque per i Ricchi e Poveri, da oltre vent'anni fuori dal circuito sanremese, laddove invece altri loro coetanei hanno avuto ripetute occasioni di mettersi in mostra e di prolungare il loro mito ormai avvizzito: proprio come Al Bano, la cui presenza sulle reti Rai ha ormai raggiunto livelli quasi ossessivi, e per il quale non si sentiva proprio la necessità di una ulteriore comparsata all'Ariston, palco ripetutamente negato a tanti altri decani della nostra canzone, meritevoli quanto e più di lui: penso a gente come Don Backy o Riccardo Fogli, tanto per fare due nomi. 
A proposito delle difficoltà ad accettare il declino da parte di tanti personaggi dello star system: Anna Oxa si è scagliata contro la direzione artistica per la sua estromissione dalla gara, ha parlato di esclusione politica, di Sanremo 2013 come sottoprodotto del Concertone del Primo maggio, ha addirittura invitato gli italiani a non andare a votare (?). La Oxa è un'artista che, molto più di altri, ha beneficiato della ribalta rivierasca in trent'anni e oltre: la sua carriera cominciò in pratica lì, nel '78, e in seguito ha collezionato altre 13 (!) partecipazioni in gara  (con due vittorie), di cui le ultime due - tre ben poco memorabili, e una da co - conduttrice. Per una volta che è rimasta fuori dai giochi, non ha trovato di meglio che gridare al complotto. Un nastro rotto, ascoltato negli anni passati da parte di tanti altri cantanti, tutti esclusi, ovviamente, a causa di loschi giochi di potere nonostante la presentazione di canzoni bellissime, capolavori assoluti. Nulla di nuovo sotto il sole, ma che tristezza, ragazzi. 
RISCHIO AUDITEL - Tornando a bomba e concludendo, Sanremo 2013 si avvia ai nastri di partenza gravato dal peso di un colossale rischio Auditel: Barenboim va bene per "Che tempo che fa" e per Rai Tre, ma per la manifestazione - trasmissione più nazionalpopolare che vi sia può funzionare? E, fra i concorrenti, Almamegretta, Simona Molinari e Marta sui Tubi convinceranno gli orfani inconsolabili delle Oxa e degli Al Bano a restare inchiodati davanti allo schermo? Personalmente ho i miei dubbi e li ha anche il dirigente Rai Giancarlo Leone, se è vero che ha detto che si accontenterebbe di un risultato di audience a metà strada fra il flop dell'ultimo Baudo (2008) e il boom dell'anno passato. A meno che il peso del marchio Fazio (uno dei colossi della tv italiana) e il fascino eterno del festivalone non garantiscano l'ennesimo pienone catodico.