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mercoledì 18 maggio 2022

DOSSIER GENOA: I PERCHE' DI UNA RETROCESSIONE. LE PROBLEMATICHE PRESENTI E FUTURE E LE SALVEZZE "IMMERITATE" DEL PASSATO

 

       Portanova segna e il Genoa batte il Toro: uno dei pochi momenti felici della stagione (foto Guerin Sportivo)

La retrocessione più logica, e al contempo la più illogica. Il Genoa torna in Serie B dopo quindici anni, e nessuno  può dire che non fosse un finale ampiamente prevedibile. Perché il quadro tecnico della rosa rossoblù 2021/22 era quello che era, ossia desolante, e perché nel calcio c'è anche una cosa, un'entità sfuggente e intangibile eppur terribilmente concreta, che si chiama "inerzia", difficile da correggere, quasi impossibile da ribaltare. Ecco, l'inerzia di questa stagione è stata definitivamente chiara fin dai mesi invernali e di inizio primavera: la dieta punti della sciagurata gestione Shevchenko, le sconfitte casalinghe con Samp e Spezia, e poi, nonostante la cura rivitalizzante operata da mister Blessin, gol che arrivavano col contagocce e mancate vittorie in scontri diretti decisivi, sempre fra le mura amiche, con Salernitana, Udinese ed Empoli. Lì la tela è calata definitivamente, e solo chi vive fra le nuvole poteva sperare in improbabili rimonte e, addirittura, in una vittoria sul campo di un Napoli che è perfino eufemistico definire fuori portata. 

QUOTA SALVEZZA IRRISORIA - Tutto nella norma, dunque? Non poteva esserci una miglior sorte per il peggior Genoa dal 2007 ad oggi? Ed eccola, l'illogicità di questa retrocessione. Perché nonostante tutto, nonostante la drammatica assenza di classe, gli errori marchiani nella costruzione della squadra e quelli, meno gravi ma comunque pesanti, in fase di aggiustamento nel mercato di riparazione, la quota salvezza di quest'anno è talmente bassa, e le rivali così modeste, che la permanenza non era un sogno, sarebbe bastata davvero una piccola manciata di punti in più, non da fare al Maradona, però, ma nelle occasioni suddette, alla portata e però gettate alle ortiche. Ecco, diciamo che il Grifone è stato tenuto in corsa dagli altri, ma in fin dei conti non lo meritava. Non perché non ci abbia messo cuore e voglia, soprattutto nel girone di ritorno, ma perché proprio non ci arrivava, non aveva i mezzi per arrivarci. Per fare risultato può bastare una difesa di ferro che inchioda gli altri sullo 0-0, e negli ultimi mesi è capitato spesso: per vincere bisogna fare gol, ed è stato un evento raro, troppo raro. 

IN ESTATE LE BASI DEL DISASTRO - Il succo è tutto qui, al netto di discorsi deliranti (di tifosi altrui, e passi; della stampa nazionale, e questo è un po' più grave) su una giustizia che si è finalmente compiuta, dopo anni di salvezze immeritate. Vedremo più avanti un excursus su queste presunte salvezze più o meno rubacchiate, ma per il momento ciò che conta è l'attualità, le macerie che restano e sulle quali si dovrà ricostruire. La storia di questo campionato, ormai, la conosce qualsiasi genoano: e se la si conosce, non si potranno avere dubbi sulle origini del disastro. Estate 2021: lo smembramento della squadra precedente,  costruita su fondamenta di cartapesta, ossia sui prestiti, quelli di Perin e di Zappacosta, di Strootman e di Scamacca, fino alla cessione dell'unico, piccolo talento di proprietà, Shomurodov, seguita da un mercato all'insegna del piccolo cabotaggio quando non dell'immobilismo (Sabelli, Hernani e poco altro), con annessi malumori del confermato Ballardini che, col senno di poi, avrebbe forse fatto meglio a togliere subito le tende. 

ACQUISTI LAST MINUTE, POCA RESA - Un ultimo giorno di campagna acquisti surreale, con l'arrivo in extremis di alcuni giocatori di nome ma dalla discutibile utilità specifica e pieni comunque di controindicazioni: l'ottimo Maksimovic tormentato da problemi fisici, il discontinuo Fares, che vinse quasi da solo la partita di Cagliari per poi sparire, l'indisponente Caicedo, sul quale è meglio evitare qualsiasi commento, per tacere dell'oscuro Galdames, da qualcuno definito "top player" con notevole senso dell'umorismo: operazioni che confermavano la stanchezza e il distacco con cui Preziosi guardava ormai alla sua creatura un tempo prediletta. Il tutto mentre Destro, dopo l'ottimo torneo precedente e dopo un avvio incoraggiante in questo, tornava il Destro troppe volte "ammirato" in carriera: un attaccante dai buoni mezzi ma dal rendimento troppo altalenante per poter ambire al definitivo salto di qualità che, in effetti, non è mai arrivato, nonostante qualche apparizione anche in azzurro. 

PROCLAMI INUTILI, SOGNI FOLLI - Poi venne l'autunno, ed era nel frattempo arrivata la svolta societaria attesa da lustri, col cambio di proprietà e il passaggio di consegne fra il Joker e gli americani 777 Partners. Tutto, in quei giorni, sembrava bellissimo, e meraviglioso il futuro che si spalancava davanti ai colori rossoblù. Ma la realtà è sempre più complessa di quel che sembra: certo, gli stessi neo proprietari ci hanno messo del loro. Hanno parlato tanto, hanno parlato troppo e non coi toni giusti, questo è stato secondo me il loro principale errore: discorsi su orizzonti di gloria che, guardando alle miserie tecniche del presente, lasciano il tempo che trovano. Certo, colpa anche di certi tifosi che, nonostante anni di amarezze (o forse proprio per quello), continuano a farsi accecare dai proclami che, nello sport, sono parole scritte sulla sabbia; e che hanno creduto a fantascientifici colpi di mercato, a nomi di campioni della Premier League che nella svalutata Serie A non ci verrebbero nemmeno per giocare nei club di vertice, non dico in un Genoa con un piede e mezzo in B: ma di queste voci folli e irrazionali, perlomeno, gli statunitensi non avevano responsabilità alcuna. 

SPORS: TROPPI AZZARDI - Poi, chiaro, fra Yarmolenko e il mercato di giovani promesse nordiche portato avanti dal nuovo manager Spors c'era l'oceano di mezzo, ma qui il discorso rischia di farsi antipatico e di non portare da nessuna parte. Ogni dirigente ha il suo modo di concepire la costruzione di un team: il tedesco, spalleggiato dai nuovi padroni, ha puntato forte su emergenti sconosciuti dalle nostre parti, nella speranza che avessero la freschezza e la personalità per impattare subito nel campionato nostrano, svalutato sì, come detto, ma pur sempre duro, ispido, competitivo. Gli ha detto male: a parte Ostigard e parzialmente Hefti, i vari Gudmundsson e Frendrup hanno lasciato pochi segni, così come Yeboah, promessa del calcio italiano che doveva portare in dote un gruzzoletto di gol da far pesare sulla bilancia della salvezza, e invece non ha battuto chiodo: nessuna rete, poche conclusioni, pericolosità a tasso zero. Ma più di lui, che in fondo ha tutto il tempo per dimostrare il suo ipotetico valore, ha fallito Amiri, ennesimo straniero sopravvalutato arrivato in queste desolate lande (penso ancora con raccapriccio all'accoglienza trionfale riservata al danese Schone al suo arrivo all'aeroporto genovese: non impareremo mai). 

IL FANTASMATICO BOMBER SALVEZZA - E qui torniamo al problema principale di questa lunga via crucis: l'attacco che non punge, l'inoffensività della nostra manovra offensiva, gioco di parole più che mai voluto. Nullo Yeboah, nullo Amiri, Ekuban che ha fatto quel che poteva, cioè molto poco, Piccoli non pervenuto, e Destro entrato in sciopero del gol. Dice: mercato di gennaio fallimentare soprattutto perché occorreva rinforzare la prima linea. Già, ma io ancora non ho capito, in tutti questi mesi, quale fosse questa famosa punta da doppia cifra acquistabile dal Genoa, cioè alla portata delle casse societarie e disposto a venire in una squadra con una situazione di classifica già gravissima, pur se non compromessa. Ecco, questo nome non me l'ha fatto ancora nessuno. Forse perché non esiste, e se esiste non era possibile arrivarci: il riferimento alle casse societarie non è casuale, perché poche settimane dopo la fine del mercato di riparazione è emerso in tutta la sua crudezza, con la pubblicazione dell'ultimo bilancio, lo stato da allarme rosso dei conti del Genoa. 

FINANZE DA INCUBO E POCHI MARGINI DI MANOVRA - Lì si sono capite molte cose, o almeno credo di averle capite, ma magari mi sbaglio, eh? Il Grifone, a gennaio, era in una situazione in cui i margini di manovra erano estremamente limitati: le primi iniezioni di denaro fresco operate da Wander, Blazquez e compagnia sono servite a mettere una toppa alle finanze e a consentire al Genoa di operare in sede di campagna trasferimenti, ma gli ingaggi faraonici vagheggiati da qualcuno erano fuori portata, e forse lo erano anche quelli di medio livello. Oltretutto, il processo di risanamento dei conti e di ristrutturazione gestionale è appena iniziato, temo quindi che ancora per un po' di tempo i soldi, tanti, nella disponibilità di 777 dovranno essere utilizzati per altri e più impellenti scopi che non per scritturare campioni. Di tutto ciò non si può non tenere conto, a mio avviso, nel valutare l'infelice piano di rafforzamento messo faticosamente in piedi da Spors dopo Natale. Si può semmai dire che non abbia avuto mano felicissima nello scegliere i giovani, dovrebbe essere più semplice scovarne altri che possano imporsi in cadetteria, dove peraltro i virgulti prima citati sicuramente troverebbero più spazio per esplodere ed affermarsi, Yeboah su tutti. 

ROTTURA COL PASSATO - Ecco, forse, in questa prima fase della nuova era, non si poteva fare di più, sul piano delle operazioni spicciole, dei singoli acquisti. E sul piano delle strategie societarie, delle linee da seguire, meglio così se la scelta è stata quella di tagliare i ponti con un certo passato, il passato dei prestiti, delle porte girevoli, dei giocatori che andavano e venivano con la necessità di ricostruire ogni volta da zero. All'instant team in stile Salernitana (cit. Iervolino) si è preferito un progetto di prospettiva, nel quale alcune pedine possono anche risultare fuori posto e si possono rimpiazzare, mentre altre vanno doverosamente attese al riscatto con la consapevolezza che sono, comunque patrimonio vero e concreto del Genoa. Dulcis in fundo, oltre ai debiti societari non va dimenticata l'altra, enorme, spada di Damocle che grava sul Grifo: un parco giocatori extralarge, assurdamente sovradimensionato; già a gennaio ne sono stati piazzati alcuni in giro per l'Italia, ne restano altri, e sono situazioni che pesano ed impediscono maggiore libertà di movimento in fase di acquisizione di nuovi elementi. 

I MESTIERANTI? C'ERANO, MA... - Tutto  ciò, beninteso, non esclude lacune e mancanze dei nuovi gestori: dalla scelta suicida di Shevchenko a quella di assumerlo prima di avere un general manager, fino alla scarsa attenzione per il panorama calcistico nostrano: un eccesso di esterofilia laddove sarebbe meglio guardare un po' anche al bacino calciatori italico. Ma, anche qui, non era questione di inserire "mestieranti che conoscono il campionato e abituati a lottare per la salvezza". Li avevamo già, da Criscito a Sturaro, da Masiello a Destro, ma tutti hanno parzialmente o totalmente deluso le attese per larghi tratti di torneo e per motivi diversi. Ergo, non sono mancati né il mestiere, né la gioventù: è mancata la qualità, semplicemente. 

BLESSIN SI' O NO? - Il "manico" giusto, quello era stato forse trovato. I discorsi su ritorni di fiamma con Gasperini, per ora del tutto ipotetici, rischiano di bruciare l'esperienza Blessin che secondo me andrebbe invece portata avanti con coraggio. In fondo, con lui, qualcosa è cambiato: sono arrivate tre vittorie (poche, ma sempre meglio del quasi nulla precedente), sono arrivate prove di sostanza e punti contro le grandi, si è rivista la "garra" rossoblù, ha fatto capolino una parvenza di organizzazione di gioco, certo appiattita eccessivamente sulla fase difensiva, ma forse il tedesco ha fatto due conti una volta resosi conto dell'assenza di attaccanti competitivi, e ha scelto di battere altre strade tattiche, più prudenti e conservative. Vorrei rivederlo all'opera con delle bocche da fuoco attendibili in prima linea, e con elementi nel mezzo, ai lati e sulla trequarti in grado di assisterle ed alimentarle adeguatamente. Sono convinto che potrebbe fare meglio di quanto già non abbia fatto. 

CREDITO FINITO? ANCHE NO - E' la scelta più difficile e delicata di questo immediato post retrocessione, da cui dipendono tutte le scelte future. Dovrà essere fatta in fretta, e la società sembra orientata in questo senso, nonostante lo sfogo napoletano di Zangrillo, più da tifoso che da presidente. Ci sta tutto, ma divisioni e malumori interni a pochi mesi dall'acquisizione del pacchetto societario anche no, dai: per quelli ci sarà eventualmente tempo in futuro, così come, dalla parte dei tifosi, ci sarà tempo per gli ultimatum. Capisco l'amarezza per  il declassamento, ma cominciare già con frasi del tipo "credito finito", quando per anni si è dato credito a chi non lo meritava, mi pare un atto di profonda irriconoscenza, vuol dire aver capito poco del tentativo di cambiamento in atto. L'importante è che sia ben chiaro che in B si va per vincere, non per provarci. Magari spendendo di più oggi per risparmiare domani, ossia allestendo una formazione che potrebbe discretamente figurare anche in  A, e di esempi il campionato cadetto in passato ne ha forniti tanti, senza necessariamente risalire alle due corazzate milaniste dei primi anni Ottanta. 

LE FAMOSE SALVEZZE RUBATE - Chiudo con un doveroso post scriptum. Dicevo prima della leggenda metropolitana di un Genoa che "da anni meritava di retrocedere, ce l'ha sempre fatta immeritatamente e per il rotto della cuffia". Bene, guardiamo i dieci campionati che hanno preceduto questo. 2012: effettivamente la salvezza giunge all'ultima giornata dopo vittoria sul Palermo, ma va detto che quel Genoa mai si viene a trovare nelle ultime tre posizioni di classifica, e la paura viene dettata più che altro dalla poderosa rimonta del Lecce, peraltro fermatasi nell'ultimo mese di torneo. 2013: salvezza con un turno di anticipo grazie a Ballardini, che aveva preso in mano la squadra dopo la disastrosa parentesi Delneri. 2014: salvi con tre turni di anticipo, ma squadra mai concretamente in pericolo, se non nelle prime giornate sotto la guida di Liverani. 2015: il Genoa si qualifica addirittura per l'Europa League, che però non disputa a causa del mancato ottenimento della licenza Uefa. 2016: parlare di salvezza è improprio, anche se aritmeticamente viene ottenuta con un mese di anticipo; in realtà è un torneo di sostanziale relax. 2017: salvezza con una giornata di anticipo. Come nel 2012, il Genoa non finisce mai in zona retrocessione, ossia negli ultimi tre posti in graduatoria: la sua sofferenza è dovuta più che altro al netto calo di rendimento dopo il mercato di gennaio e alla contemporanea rimontona del Crotone. 

2018: salvezza conquistata alla 35esima, e ultimi  tre turni di "svacco", mentalmente già in vacanza. Mai in zona B nel girone di ritorno. 2019: è la più sofferta, ottenuta in extremis grazie allo 0-0 non giocato di Firenze. Che però non è "torta", in quanto conviene solo ai viola. Per il Grifo di Prandelli è un azzardo, che funziona unicamente perché l'Empoli, rivale diretto, perde con l'Inter. A pari punti coi toscani di Andreazzoli, genovesi salvi per aver vinto entrambi gli scontri diretti, e anche questo conta. O no? 2020: altra salvezza col fiatone, conquistata grazie alla rimonta firmata dallo specialista Nicola, che vince il derby di ritorno e poi chiude la pratica con un facile successo su un Verona vacanziero, partita che scandalizza i benpensanti, i quali non ricordano come la rivale Lecce, nel turno precedente, avesse vinto sul campo di un'Udinese anch'essa con la testa all'ombrellone. 2021: permanenza archiviata con due turni di anticipo, e anche in questo caso rischi assai relativi: in tutto il girone di ritorno, Grifone mai in zona B. E allora: dove sono tutte queste salvezze rubacchiate e immeritate?