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giovedì 12 ottobre 2017

IL REGOLAMENTO DEL FESTIVAL DI SANREMO 2018: BAGLIONI ABOLISCE LE ELIMINAZIONI. ARMA A DOPPIO TAGLIO: FUNZIONERA' SE ARRIVERANNO I GRANDI NOMI


Con la pubblicazione del regolamento sul sito ufficiale, avvenuta ieri sera, la preparazione di Sanremo 2018 entra nella sua fase calda, ed era anche ora, mi permetto di aggiungere. Il format del Festivalone non presenta, relativamente alla struttura della gara, novità sconvolgenti e rivoluzionarie, nel senso di cose mai viste prima nella ormai lunghissima storia della rassegna. Ci sono però modifiche sostanziali rispetto alle consuetudini degli ultimi anni. La mano del neo direttore artistico Claudio Baglioni si è fatta sentire, senza dubbio, e le innovazioni da lui portate potrebbero risultare assai più incisive di quanto si sia ora indotti a pensare. 
ELIMINAZIONI AL BANDO - Permane la suddivisione in due gironi, Campioni e Nuove proposte; i primi dovrebbero essere venti (come si era stabilito l'anno scorso, quando poi lievitarono a ventidue), i secondi saranno otto, scelti con le identiche modalità delle ultime edizioni. La svolta, rispetto al passato recente, è che non ci saranno più eliminazioni: tutti i cantanti che inizieranno il Festival, in entrambe le sezioni, lo porteranno a termine, arrivando fino a venerdì (i giovani) e fino a sabato (gli artisti affermati). Non è una rivoluzione, dicevamo, perché è già avvenuto diverse volte nel cammino di Sanremo: le ultime due furono nel 2003, un'edizione targata Baudo, bella ma non fortunata sul piano degli ascolti tv, e nel 2004 di Tony Renis, quando però esisteva un listone unico di ventidue concorrenti, senza distinzioni di età o anzianità di carriera.
E' in questa scelta che emerge nitidamente la linea editoriale di Baglioni, il quale si fa in un certo senso portavoce di tutta una categoria. Non si dice da tempo immemore che l'élite dei cantautori italiani (ma non solo loro) ha sempre guardato con sospetto il Festival proprio per l'esasperazione del concetto di competizione? Ebbene, arriva un cantautore, uno dei più prestigiosi, prende le redini del carrozzone e limita sensibilmente la gara, che per quanto riguarda i Big sarà in pratica confinata alla sola serata finale, riservandosi per le quattro precedenti un solo momento di pathos: al termine della terza, quando verrà resa nota una classifica parziale dei venti brani sulla base delle votazioni raccolte con le prime esibizioni (tutti insieme la prima sera, dieci la seconda, altri dieci la terza). 
FELICI GLI ADDETTI AI LAVORI - L'idea del buon Claudio è stata semplice: salvaguardare comunque l'essenza del Festival, che senza concorso canoro non avrebbe ragione di esistere, diventerebbe un'altra cosa senza più alcun legame con la tradizione, ma comunque attenuarne l'impronta fortemente agonistica. L'obiettivo dichiarato è quello di rendere Sanremo simile ad altri eventi di cultura popolare come, ad esempio, i festival del cinema e i festival letterari; una "evoluzione", quest'ultima, di cui si parla da più di quarant'anni, e proposte in tal senso furono lanciate già all'inizio dei Settanta, quando si cercava di trovare strade alternative per un evento che cominciava a manifestare i segnali di una profonda crisi. Una svolta in senso "alto" da tempo e da più parti auspicata, e che ora si concretizza, almeno sulla carta: a occhio e croce saranno strafelici cantanti, discografici (e infatti la FIMI ha già esternato la sua soddisfazione) e critici giornalistici. Bene per le prime due componenti, perché senza artisti e senza industria di settore la kermesse non si può fare se non rinunciando a una buona fetta di qualità, trascurabile il terzo aspetto, perché la sensazione è che molti commentatori abbiano sempre preteso da Sanremo un qualcosa che non è mai stato nel suo Dna. 
RICORDARSI L'ESSENZA LEGGERA DEL FESTIVAL - Questo è un punto dolente: Sanremo è sfida tra cantanti, è leggerezza, è quel pizzico di glamour che non guasta mai: ma nelle maglie di un canovaccio prettamente commerciale, volto a spingere il mercato e il successo dei partecipanti, a lanciare e rilanciare carriere, ha spesso e volentieri saputo trovare lo spazio per proposte originali e di ottimo livello compositivo. La mini-rivoluzione made in Baglioni rischia di farne un evento che piace solo agli addetti ai lavori e meno al grande pubblico. E non credo aiuterà il peso enorme, direi eccessivo, attribuito dal regolamento alla giuria della sala stampa, che voterà tutte e cinque le serate. Non sono nemmeno convinto che i vertici della Rai abbiano sposato in toto questo cambiamento, ma non potevano neanche opporsi più di tanto: hanno voluto fortemente il cantautore romano, e ora... se lo tengono, con tutte le sue ferree convinzioni. Del resto, lo ripetiamo, una struttura di gara come quella che vedremo a febbraio Sanremo l'ha già avuta, a grandi linee, ed è sopravvissuto: oltre alle edizioni citate, ce ne sono state altre in cui le eliminazioni prima della finalissima hanno riguardato solamente la sezione dei volti nuovi, il che non è che regalasse poi tutta questa gran suspense al pubblico, interessato soprattutto alla sfida fra i grossi nomi. 
SALVARE L'AUDIENCE COI GRANDI NOMI - Il problema è che, eccezion fatta per le ultime due rassegne allestite da Fabio Fazio (2013 e 2014), dal 2009 in poi la competizione è stata un must della manifestazione, a volte ferocissima come nel quadriennio di Gianmarco Mazzi (2009-2012), che portava in finale solo dieci big, altre volte più annacquata come sotto la gestione Conti, quando alla serata conclusiva si sono comunque presentati sempre sedici partecipanti. Ecco perché l'azienda di viale Mazzini deve mettere doverosamente in preventivo un calo di ascolti: il popolo dei teleutenti si abitua infine ai cambiamenti, ma ha bisogno di tempo. Un tale handicap sarebbe compensato solo dalla presenza, in concorso, di una manciata di personaggi di altissimo profilo, e questo è l'altro obiettivo, più velato ma neanche tanto, che Baglioni si è posto: una competizione più serena e meno stressante, con l'effetto - vetrina amplificato (tutti in finale, quindi passaggi televisivi a go go), dovrebbe sciogliere le riserve di cantanti che all'Ariston non si sono mai fatti vedere, o l'hanno fatto di rado, magari come ospiti. Non parlo, si badi bene, solo del cantautorato storico, ma pure di tanti recenti protagonisti delle hit parade. Un contributo in tal senso dovrebbe darlo la seconda innovazione, forse la più importante per un innalzamento del tono qualitativo dello show: il limite di durata dei brani è stato portato a quattro minuti, decisamente più umano dei tre e mezzo per i Campioni e dei tre per i giovani in vigore l'anno scorso. 
MUSICA AL CENTRO: MENO SOVRASTRUTTURE INUTILI? - In sintesi, meno lacci e lacciuoli e più "spazi di manovra" per chi volesse mettersi alla prova in Riviera. Un messaggio lineare e diretto, quello dell'autore di tanti evergreen della canzone italiana: "Hanno voluto un cantautore alla guida del Festival, e allora la musica sarà al centro del Festival", ha dichiarato ieri al Tg1. Lo speriamo,  e se ciò dovesse portare anche a un taglio di ospiti inutili e fuori contesto, ben venga. Tutto questo giustifica anche la scelta dell'abolizione della serata delle cover, che ormai, del resto, da almeno un paio di anni mostrava pericolosamente la corda, senza dimenticare che dopo l'isolato exploit di Nek con "Se telefonando" nel 2015, nessun'altra riproposizione di pezzi celebri ha saputo ottenere analogo consenso. Meglio allora il ritorno all'happening dei duetti che, con l'appeal garantito dalla presenza di Baglioni e con quello, auspicabile, di nomi di gran richiamo in concorso, potrebbe portare sul palco una buona dose di star e di performance d'effetto, tali da rivitalizzare la serata più tradizionalmente fiacca della settimana ligure. 

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