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martedì 11 settembre 2018

NATIONS LEAGUE: ITALIA ALL'ANNO ZERO DOPO IL KO IN PORTOGALLO. SI SALVANO SOLO DONNARUMMA, CALDARA E ROMAGNOLI


Mettiamola così: la difesa parrebbe (grosso modo) a posto almeno in tre elementi su cinque, il centrocampo è inesistente, l'attacco velleitario e inconsistente. Ci troviamo dunque quasi a un terzo del lavoro di ricostruzione della Nazionale. Non male, dopo appena cinque gare della gestione Mancini. C'è un pizzico di amaro sarcasmo in queste parole, lo ammetto, ma anche un fondo di verità. Perché, al punto in cui siamo, bisogna accontentarsi dei piccoli passi, dei progressi quasi impercettibili che, partita dopo partita, emergono dal grigiore di prestazioni globalmente insufficienti. Siamo all'anno zero, inutile negarlo. Il Club Italia è nel mezzo del tunnel, ben lontano dall'uscita. Ripropongo il paragone, azzardato nel precedente post, con l'era Bernardini (la più ardita, rivoluzionaria e fruttuosa rivoluzione azzurra che si ricordi) e col "buco nero" di risultati seguito alla mancata ammissione al Mondiale '58. Cosa vuol dire? Vuol dire che, salvo improbabili impennate, ci attende una lunga fase interlocutoria, con la Nazionale in "laboratorio" o, come scritto sabato, in bacino di carenaggio. 
SCONFITTE PER MATURARE - Delle difficoltà cui deve far fronte Bobby Gol per affrontare questa delicatissima congiuntura abbiamo già detto: aggiungiamoci la necessità di sperimentare e far ruotare uomini, alla ricerca della formula giusta, nel bel mezzo di un torneo ufficiale che prevede addirittura la retrocessione in una "Serie B" europea, eventualità niente affatto remota, per noi, dal basso del nostro unico punticino in due incontri. La Nations League, han detto tutti, è nata soprattutto per ridurre al minimo le amichevoli, considerate perlopiù inutili. E invece proprio di amichevoli, dei cari vecchi test match di una volta, avrebbe bisogno oggi questa squadra senza identità, per rigenerarsi gradualmente, riacquistare coraggio, assumere una certa quadratura, trovare un blocco fisso attorno al quale ruotare di volta in volta le restanti pedine. Ma tant'è, nulla ci si può fare, e allora prepariamoci a inanellare sconfitte ed esperienza, come la pallida Azzurra del '74/75, quella di Fuffo, per l'appunto: un'Italia nuova di zecca che inevitabilmente fallì la qualificazione agli Europei '76, sciorinò prestazioni sconcertanti quanto quelle attuali, ma lanciò giovanotti come Gentile, Rocca, Antognoni e Graziani, bollati da implacabili giudizi critici come elementi non all'altezza del glorioso passato della rappresentativa. Consultare gli archivi online dei quotidiani per credere. 
DA BROCCHI A CAMPIONI? - Nessun paragone irriverente, da parte mia, fra quei super atleti e gli spauriti nazionali d'oggidì, beninteso. Era solo per dire che anche fuoriclasse di statura internazionale, molti dei quali destinati al trionfo mondiale dell'82, hanno avuto esordi balbettanti, tanto da sembrare pallide controfigure di campioni. È l'unica luce di ottimismo in mezzo a tanto grigiore. Forse alla fine rimarrò solo a urlare che queste nostre nuove leve non sono così scarse come sembrano, ma ne sono convinto, così come sono convinto che il problema vero sia un altro, cioè l'impossibilità, per l'ultima covata azzurra, di maturare minutaggio nelle sfide di alto ed altissimo livello. Perché non si diventa brocchi dopo aver furoreggiato in tutte le selezioni giovanili (ci può essere semmai una crisi di crescita, un ritardo nella maturazione), non si può esser brocchi se, prima di far fiasco nella Maggiore, si gioca alla grande col club (un esempio per tutti, il Cristante dell'anno passato, per non parlare del Jorginho delle ultime stagioni, o del Verratti del Paris Saint Germain). Ci sono, probabilmente, anche problemi di adattamento tattico, per via delle differenze fra i ruoli ricoperti nelle società di appartenenza e quelli assegnati in Nazionale, ma anche questo è un tributo da pagare alla fase sperimentale avviata dal nuovo cittì, da non prolungare però oltre il dovuto.
DALLA DIFESA LE NOTE POSITIVE - Pazienza ci vuole, tanta pazienza, lo ripeterò fino alla noia. La Nazionale italiana, quella vera, quella con le quattro stelle, al momento non c'è, né potrebbe essere altrimenti dopo lo schiaffo mondiale e dopo il depauperamento del vivaio degli ultimi due lustri. È in corso un casting dagli esiti incerti, ma il Mancio ha del buon materiale: deve solo far quadrare il cerchio. Fosse facile... Guardiamo allora, come detto all'inizio, alle cose da salvare, perché un'analisi del rendimento complessivo della squadra al Da Luz sarebbe sconfortante. Il commento è presto fatto: qualche sporadico lampo, qualche manovra di discreta fattura nella prima frazione (ma le migliori occasioni per i portoghesi), il nulla o quasi nella ripresa, con Andrè Silva a siglare il gol della giusta vittoria rossoverde. Di buono, da parte nostra, c'è stata la conferma ad alti livelli di Donnarumma, con una prestazione anche più convincente rispetto a quella, già positiva, di Bologna. Davanti a lui, Caldara e Romagnoli, pur fra qualche sbavatura, hanno mostrato discreta sicurezza e buon tempismo, chiudendo molte delle falle che si sono aperte davanti alla difesa. Da promuovere, il duo centrale, anche perché chiamato a un compito improbo, com'era capitato ai veterani Bonucci e Chiellini contro la Polonia: esposti a tutte le intemperie da un centrocampo che non filtra, non rilancia, non costruisce. 
SENZA CENTROCAMPO, CONDANNATI ALLA MEDIOCRITÀ - È lì, nella zona nevralgica, il vero dramma dell'Italia, ciò che la pone a distanza siderale dalle migliori espressioni del calcio continentale (lasciamo stare il resto del mondo, per il momento...). In queste prime due uscite stagionali, il reparto si è sciolto come neve al sole: dai citati Jorginho e Cristante a Pellegrini e Bonaventura, fino a Gagliardini, nessuno si è espresso a livelli accettabili. Non si tratta di fuoriclasse, ma di buoni giocatori che hanno in canna colpi sicuramente migliori del pochissimo fin qui mostrato con la casacca tricolore. Palle perse, banali errori di tocco, poche idee, corse a vuoto: è chiaro che su queste basi non si può costruire un gioco plausibile, un complesso compatto e ordinato. Il male azzurro è lì, ben più che in un attacco asfittico.
ATTACCO, QUESTO SCONOSCIUTO - Certo la prima linea non è esente da colpe: manca totalmente di forza penetrativa. In 180 minuti fra Immobile, Belotti, Balotelli e Zaza nessuno si è mai preso la responsabilità della conclusione, del tentativo anche ardito: nel primo tempo i nostri sono anche giunti pericolosamente in area con alcune belle trame in velocità, ma nei sedici metri hanno tentennato, temporeggiato, ceduto il pallone alla ricerca di soluzioni migliori che non esistevano, consentendo alla difesa di casa di piazzarsi con modesto affanno. Quante vere occasioni ci sono state, per i nostri, ieri sera, intendo di quelle che ti fanno gridare al "quasi gol"? La risposta è imbarazzante: potrei metterci il colpo di testa di Zaza nel finale, e poi? 
PROBLEMI ANCHE SULLE FASCE - L'unico a tentare sempre il tiro, a conferma della sua visione "verticale" del campo di cui ho già più volte scritto, è Chiesa junior, incappato però in una serata di scarsa vena, con una conclusione centrale e una ciabattata: ma almeno ci ha provato, senza esitare. A questo siamo ridotti: a plaudire ai tentativi... Dopodiché, lo ripeto, una prima linea, per essere efficiente, ha anche bisogno di una rampa di lancio dietro di sé, e questa Italia al momento non ce l'ha. Latita pure una figura di gioco che sarebbe fondamentale per ampliare il ventaglio di soluzioni offensive e portarci più frequentemente in zona pericolosa, ossia la spinta sulle fasce: Zappacosta e Biraghi a Bologna erano stati troppo timidi, non hanno fatto meglio a Lisbona Lazzari, che ha alternato qualche discreta incursione a troppi blackout soprattutto in fase di contenimento, e Criscito, assai frenato in propulsione e spesso falloso dietro (c'era probabilmente il rigore su Pizzi). 
ULTIMI ESPERIMENTI E POI UN UNDICI BASE - In sintesi: ripartiamo da Donnarumma, Caldara e Romagnoli, aggiungiamoci Bernardeschi e Chiesa visti su buoni standard coi polacchi. Il resto è da inventare. Ci sono ancora ragazzi da sperimentare, i nomi li ho fatti nel precedente post, e gente come Barella, Benassi, Mandragora e Cutrone non potrà fare anticamera ancora a lungo. Sussiste poi la fondata speranza che a ottobre cresca la condizione atletica, tradizionale tallone d'Achille azzurro in settembre e più che mai vitale per una compagine come la nostra, senza picchi di classe a cui aggrapparsi nei momenti no. Li si provi, dunque, dopodiché occorrerà cominciare a tirare le somme, creare uno zoccolo duro e mettere minuti, minuti, minuti di calcio internazionale nelle gambe dei prescelti. Cambiare nove undicesimi di formazione a quattro giorni di distanza lo si può fare adesso, con i conseguenti scompensi, ma le gerarchie andranno chiarite al più presto. 

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