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sabato 8 settembre 2018

NATIONS LEAGUE: LA NUOVA ITALIA ANCORA NON È NATA. BUONE NUOVE DA BERNARDESCHI E CHIESA


No, ancora non ci siamo. E del resto era prevedibile. Non si supera con disinvoltura un evento sportivamente drammatico come quello di poco più di un anno fa. Dopo la mancata qualificazione ai Mondiali, vergogna inaccettabile per un movimento calcistico fra i più prestigiosi del globo, sui campi italiani si è ripreso a giocare quasi come se nulla fosse, si è tornati ad occuparsi delle faccenduole dei club, del mercato, delle schermaglie politiche in Federazione. Tutto è proseguito secondo il solito tran tran, mentre si sarebbe dovuto approntare un organico piano di emergenza per superare il momento storicamente più delicato del nostro football. 
Invece, la stagione è cominciata all'insegna dei soliti problemi, anzi, peggio. Bene ha fatto il cittì Mancini a sottolineare il minutaggio sempre più ridotto a disposizione dei calciatori di casa nostra, bene ha fatto a diramare una lista di convocati fra le più rivoluzionarie di sempre, nel non nascosto tentativo di "forzare la mano" ai colleghi della Serie A. Forzare la mano: anche se non è elegante citarsi (ma chi se ne frega...), è un ragionamento che feci qui sul blog in tempi assolutamente non sospetti, sia dopo Euro 2012 (quando alla guida della Nazionale c'era un Prandelli ben disposto verso le nuove leve, al punto di convocare gente come Perin e De Sciglio che avevano poca o nulla esperienza in campionato), sia agli albori dell'era Ventura. Allora come oggi, si trattava di mettere i tecnici dei club di fronte al fatto compiuto, chiamando e facendo giocare emergenti di valore costretti invece in panchina o in tribuna nelle società di appartenenza. Pare proprio essere l'unica via, se è vero che, rispetto ai due precedenti sopra citati, la situazione è tutt'altro che migliorata. 
MALEDETTA ESTEROFILIA - Bobby gol è un selezionatore che merita rispetto, fiducia e soprattutto pazienza, tanta pazienza, molta più di quella che fu riservata ai predecessori. Lavora in condizioni terribili: costruire una compagine decente pescando in un massimo torneo iper affollato da pedatori d'oltrefrontiera, buona parte dei quali di dubbia qualità, è impresa titanica. Non fidatevi di chi dice che "tanto non cambia niente, i migliori emergono comunque, italiani o stranieri che siano". I fatti dicono che non è così: difficile, per un giovanotto che si affaccia al calcio professionistico, dimostrare di essere migliore di altri, se viene sistematicamente tenuto ai margini per ovvia mancanza di esperienza. Abbiamo i Cutrone, per dire, che segnano gol a raffica, risolvono le partite, ma si sente comunque il bisogno di acquistare un Higuain che ha probabilmente già dato il meglio, costringendo il ragazzino di turno a masticare amaro nelle retrovie e a sbattersi il doppio, il triplo, per conquistarsi scampoli di gloria. Quello rossonero è un caso limite, la punta dell'iceberg di un fenomeno che sta radendo al suolo il nostro vivaio. Un vivaio che però continua incredibilmente a sfornare talenti, come dimostrano certi ottimi risultati recenti delle nostre rappresentative giovanili, ma non è neanche questo il vero problema: il dramma è che poi la crescita, e quindi il miglioramento, l'affinamento, di queste nuove leve viene brutalmente arrestato da un calcio italiano malato di esterofilia perniciosa.  
BACINO DI CARENAGGIO - Questa lunga premessa per dire che, vista la difficile congiuntura, il balbettante esordio in Nations League degli azzurri non deve né sorprendere né destare scandalo. È bastata una Polonia compatta ma con pochi picchi di classe (Lewandowski, Zielinski, e poi?), per metterci in ambasce. Inutile ragionare su eventuali errori di formazione del coach, che, pure, secondo me ci sono stati: giusto che compia il suo giro d'orizzonte provando più uomini possibile, giusto che conceda di mettere minuti nelle gambe a un Balotelli che, se in forma, rimane di gran lunga la bocca da fuoco più efficace, esperta, smaliziata a sua disposizione. È inevitabile che questo nuovo torneo debba rappresentare solo una sorta di bacino di carenaggio, per il Club Italia: a vincere coppe ci si penserà, si spera, più avanti.
DUE CHE SALTANO L'UOMO: INCREDIBILE! - Di buono, la gara di Bologna ci ha mostrato un Donnarumma finalmente sicuro e decisivo con almeno due interventi salva risultato, e due peperini che saltano l'uomo, cosa che in azzurro non si vedeva da tempo: Bernardeschi, che pure ha commesso i suoi errori ma li ha compensati con una presenza costante nel vivo del gioco offensivo (suoi sono stati i tiri più pericolosi indirizzati verso la porta polacca) e un grande coraggio nel tentare soluzioni ardite; e poi quel Chiesa ancora una volta rivelatosi fondamentale, arrivando dalla panchina a vivacizzare una prima linea sterile con le sue accelerazioni e con la sua visione verticale del campo, col suo puntare sempre verso la porta avversaria senza troppo cincischiare. 
REBUS ATTACCO, CON INSIGNE SOTTO LA LENTE - Ecco, cominciamo col dire che, giocando col 4-3-3, due così devono essere titolari fissi. Al servizio del vero Supermario, non della pallida e acciaccata controfigura di ieri sera, o di una punta che sappia sbatterla dentro, una buona volta. Potrebbe essere proprio il Cutrone di turno, a meno che Belotti e Immobile, implacabili con le maglie di Toro e Lazio, non vadano oltre i limiti che ne hanno troppo spesso caratterizzato le prove in rappresentativa. A tal proposito, e sempre rimanendo in,,, zona d'attacco, uno che sta esaurendo i suoi bonus, spiace dirlo, è Insigne. Il ragazzo ha classe, brillantezza, piedi buoni, ma troppo grande continua a essere la differenza di rendimento fra Napoli e Club Italia, né è pensabile di poter costruire la squadra attorno a lui: stiamo parlando di un buonissimo giocatore, a tratti ottimo se inserito in un determinato contesto tattico, ma non di un fuoriclasse che risolve le partite da solo. 
CENTROCAMPO DA RIFARE - Altro elemento per il quale il tempo stringe è Gagliardini, che del resto anche in maglia Inter ha solo in parte mantenuto le promesse degli esordi post atalantini. Al Dall'Ara è naufragato assieme ai compagni del centrocampo: il reparto è stato il vero tallone d'Achille della squadra, deficitario in entrambe le fasi, prigioniero di una mediocrità tecnica inaccettabile per una compagne del nostro lignaggio. In una zona nevralgica che ha prodotto solo errori e confusione, non ha convinto neppure Jorginho, rigore a parte: ma c'è almeno la speranza che l'esperienza ad altissimo livello col Chelsea serva ad accrescerne personalità e caratura internazionale. Per intanto, nel mezzo sarebbe il caso di dare chances a talenti in vorticosa ascesa come Barella, Benassi, Cristante, Mandragora, il cui rendimento recente li mette ai vertici nel campo di scelta a disposizione del trainer. 
LE ALTERNATIVE PER LA DIFESA - La difesa, infine, ha discretamente lavorato, facendosi carico anche del lavoro di chi avrebbe dovuto "schermarla": ma sulle fasce troppo timido è parso l'apporto di Zappacosta e Biraghi, che meritano comunque altri test, anche se pure ai lati non mancano le scelte alternative: da Calabria a Barreca, da Lazzari (intuizione del coach) a quel Piccini assurdamente "dimenticato" all'estero, sperando soprattutto in un recupero dell'ottimo Conti (forse il migliore della compagnia). Nel frattempo sarebbe forse il caso di insistere su Criscito, che in questa prima fase di ricostruzione può essere un'utile chioccia, mentre la sensazione è che sia di troppo un veterano fra Bonucci e Chiellini (entrambi, ricordiamolo, protagonisti del fallimento dell'autunno scorso), con Caldara e Romagnoli (più Rugani, se troverà spazio nella Juve) che premono alle spalle. 
URGE UNA VITTORIA DI PESO - Non è un momento come tanti: forse mai come ora sarebbe lecito e giusto rivoluzionare totalmente (salvando giusto un paio di "totem" per la continuità di spogliatoio e l'esperienza), buttare i babies nella mischia senza remore. Chi potrebbe mai rimproverare a Mancini di aver messo da parte coloro che si sono fatti sbattere fuori da Russia 2018? Siamo in una fase storica in cui bisogna agire con la mano pesante, come fece Fulvio Bernardini al termine dell'era dei messicani. Dopodiché, ripeto, occorrerà anche armarsi di santa pazienza, perché una Nazionale competitiva non si ricostruisce in quattro e quattr'otto, soprattutto quando il bacino in cui scegliere gli uomini giusti è così assurdamente ridotto.
Del resto, il passato ci insegna che dopo la prima mancata qualificazione mondiale, nel 1958, trascorsero anni prima di rivedere un barlume di luce. Anni di partite, di girandole di formazioni, di presunti astri sorti e tramontati nel giro di pochi match. Anni senza vittorie. Dopo la sconfitta con l'Irlanda del Nord che ci costò l'estromissione da Svezia '58, ci vollero 24 mesi prima che la nostra selezione tornasse a battere qualcuno (la Svizzera). Di una vittoria di spessore avrebbero bisogno il Mancio e la sua truppa: non poteva esserla quella del maggio scorso con l'Arabia, ma strappare i tre punti alla Polonia avrebbe potuto darci una mano a superare anche quell'impasse mentale che si è impadronito dei nostri dopo il tonfo svedese. 

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