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mercoledì 6 febbraio 2019

SANREMO 2019: COMMENTO ALLA PRIMA SERATA. TROPPA CARNE AL FUOCO, PRESENTATORI A SCARTAMENTO RIDOTTO


Dopo la prima serata, una sola certezza, che è poi una piacevole conferma: di tutti i Sanremo succedutisi nel ventunesimo secolo, questo è senz'altro il più contemporaneo, il più rappresentativo dell'attuale scena musicale italiana, una vera full immersion nella realtà. Non è poco: in passato ci si è spesso riempiti la bocca con la parola "contemporaneità", che, alla prova dei fatti, nel cast era rappresentata da pochi volti affiancati ai soliti noti, giusto per dare il contentino alle nuove generazioni senza urtare più di tanto il pubblico tradizionale del Festivalone e dell'ammiraglia Rai. Gaudeamus, dunque, se pensiamo a certe definizioni taglienti date dai critici ad alcune edizioni che furono, da "Jurassic Sanremo" a "Fuga da Sanremo". Non si è cercato di rassicurare lo spettatore medio con la solita manciata di Al Bano, Cutugno e compagnia da tempo cantante: una scelta coraggiosa che va rispettata, tanto più nel momento in cui porta a un calo di audience che probabilmente era stato messo in preventivo da direttore artistico e vertici della tv di Stato. 
RAFFAELE E BISIO "FRENATI", SPETTACOLO PIATTO - Per il resto, abbiamo assistito a un'apertura interlocutoria, e non è stata certo la prima volta. Va detto che il format della serata era condizionante: si trattava di proporre, in un'unica lunga carrellata, tutte e 24 le canzoni in gara. Tante, troppe: probabilmente non ci si era più abituati. Da questo punto di vista, nonostante il taglio innovativo della proposta musicale, è stato invece messo in scena uno spettacolo old style: una serata modello "Sanremo di una volta", con una lunga successione di brani, senza troppi diversivi. Proprio per questo, non me la sentirei di bocciare in toto la qualità dello show: è vero, la sensazione è stata di un certo piattume generale, mancanza di guizzi in grado di far saltare sulla sedia i teleutenti. Ma non c'era la possibilità di spaziare troppo, e a pagarne lo scotto sono stati soprattutto i due "battitori liberi" alla presentazione, Virginia Raffaele e Claudio Bisio: in particolare, la verve comica dell'ex conduttore di Zelig è parsa appannata, anche nell'unico momento "solista" avuto a disposizione, con un monologo sui migranti privo di autentica originalità.
BAGLIONI NON BRILLA - Virginia se l'è invece cavata, e del resto, nonostante la giovane età, sa come muoversi sui palchi importanti, variando registri e adattandosi alle circostanze. Le imitazioni e gli sketch li vedremo probabilmente da stasera in avanti, nella serate con meno musica e più intrattenimento; di rilievo comunque il duetto con Pier Francesco Favino nel miscuglio di musical Mary Poppins - Bohemian Rapsody - Sister Act. Un po' poco, d'accordo, ma, ripeto, mancava proprio il tempo materiale per fare di più. Quanto a Baglioni, è stato più discreto rispetto all'onnipresenza del 2018, e questo è un bene, ma anche più "legnoso" e meno a proprio agio: effetto delle polemiche della vigilia? Può essere, visto anche lo scambio di battute con Giorgia a proposito delle sue prospettive professionali... 
TROPPE CANZONI IN UN COLPO SOLO - La musica, adesso. Si diceva della quantità esorbitante di canzoni: da anni non erano così tante al vernissage. Dodici mesi fa i big in gara furono venti, ai tempi di Carlo Conti si raggiunse il tetto massimo di 22 nel 2017, quando però i concorrenti vennero equamente distribuiti nell'arco delle prime due sere. Un menu sovrabbondante e difficile da digerire: sarebbe pertanto ingiusto e avventato, per quel che mi riguarda, cominciar da subito a tranciare giudizi più o meno inappellabili. Non invidio i giornalisti chiamati a fare le loro valutazioni già dopo il primo ascolto in anteprima a loro riservato dalla Rai, qualche settimana fa. E se i blog fossero esistiti già negli anni Ottanta, quando invece era una regola presentare da subito tutti i brani della categoria regina (per ragioni legate alle votazioni Totip, che dovevano concludersi il sabato mattina e che quindi richiedevano un ascolto immediato dei pezzi), mi vien da pensare a che fatica avrei fatto a scrivere qualche nota critica, visto che, prima della finale, le canzoni venivano proposte all'Ariston solo una volta... e mezza (c'era un parzialissimo riascolto nella serata del venerdì), e per poterle apprezzare meglio l'unica soluzione era quella di agire affannosamente sulla manopola della radio alla ricerca di emittenti che trasmettessero già la nuova produzione... 
NEK, ARISA E BOOMDABASH: ORECCHIABILITA' - Anche la scaletta non mi è parsa congegnata in modo perfetto: gran parte dei grossi calibri hanno avuto il privilegio di esibirsi nelle prime ore di diretta, lasciando a notte fonda molti emergenti e volti meno popolari. Si poteva invece spostare dopo la mezzanotte almeno un paio dei personaggi più attesi, per alimentare un clima di attesa che avrebbe spinto maggiormente i rilevamenti Auditel. Poi, certo, in mezzo a tale bombardamento di note qualcosa nelle orecchie è rimasto. Ad occhio e croce, le opere di Nek, Arisa e Boomdabash hanno le stimmate dei potenziali tormentoni, la Bertè presenta un brano tutto sommato convincente e ben interpretato, a sancire il definitivo recupero vocale di un'artista che una decina d'anni fa pareva perduta. Francesco Renga e Il Volo hanno sposato la prudenza, nel senso che sono rimasti fedelissimi alla loro cifra stilistica senza correre rischi innovativi, ma possono comunque lasciare il segno sia al Festivalone che nelle chart.
SILVESTRI, NIGIOTTI E NEGRITA: TESTI DI PREGIO - Chi ha stupito favorevolmente è stato invece Daniele Silvestri che, con la collaborazione di Rancore, sembra aver confezionato un piccolo gioiello cantautorial - rap di raffinata crudezza. Achille Lauro martellante con la sua Rolls Royce (ma il regolamento del Festival non dice che gli artisti "non potranno pronunciare frasi, compiere gesti, utilizzare oggetti o indossare capi di vestiario aventi riferimenti, anche indirettamente, pubblicitari o promozionali"?), Carta e Shade leggerissimi ma assai radiofonici, Mahmood originale e moderno, Ultimo su una linea melodica coniugata al presente e l'ormai nota, eccellente capacità di scrittura. Nigiotti brilla soprattutto per un testo sentito, intimo e commovente, i Negrita portano un pop-rock morbido e avvolgente a sostegno di parole di forte impegno civile. Ma tutto va risentito con calma, e in un contesto festivaliero meno zeppo di voci e proposte. 
OSPITI SUPERFLUI - Rimane da parlare degli ospiti: quelli canori, come volevasi dimostrare, hanno aggiunto poco o nulla allo spettacolo. Abbiamo solo sentito un bel duetto della Bocelli Family in "Follow me", col condimento di un telefonatissimo passaggio di consegne fra padre e figlio, e avuta la conferma che Giorgia, quanto a doti vocali, non ha proprio nulla da invidiare alla compianta Whitney Houston di cui ha intonato "I will always love you"; però non c'era bisogno di questa comparsata per averne la certificazione, e sarebbe stato più piacevole sentire da lei un pezzo inedito presentato in competizione. Ma di questo "figli e figliastri" ho già parlato ieri... Favino sugli stessi, ottimali standard dell'anno scorso, sostanzialmente inconsistente il contributo di Claudio Santamaria, pur se una certa spigliatezza lo pone come autorevole candidato, perché no, a una futura conduzione del Festivalone. 

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