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domenica 10 febbraio 2019

SANREMO 2019: FINALE A SORPRESA PER UN FESTIVAL CONTROCORRENTE. NON SCANDALOSO IL SUCCESSO DI MAHMOOD, DELUSIONE PER NEK E TURCI


Ecco dunque la sorpresissima. Alzi la mano chi aveva previsto il trionfo di Mahmood. Io no, sinceramente, e del resto scripta manent. I favoriti erano quei "sei più uno" che avevo citato nei precedenti post (Ultimo, Volo, Irama, Nek, Arisa, Bertè e Cristicchi): l'exploit di "Soldi" è senz'altro uno degli esiti più clamorosi di sempre, nella storia del Festivalone. Per trovare una conclusione altrettanto stupefacente, spiazzante, inattesa, bisogna forse risalire al Sanremo del 1997, alla vittoria dei Jalisse. Dopo, si sono registrate altre medaglie d'oro insolite, penso agli Avion Travel del 2000 o alla coppia Giò Di Tonno - Lola Ponce del 2008, ma si trattava comunque di artisti big, con dignitosissime carriere alle spalle. Il ragazzo italo-egiziano, pur arrivando da diversi anni di "praticantato", è comunque alle prime armi sulle ribalte musicali che contano: il suo percorso sanremese può essere assimilato a quello di Annalisa Minetti, che nel '98 vinse il venerdì le Nuove proposte, si trovò sbalzata nella categoria regina e al sabato sbaragliò nuovamente il campo; la differenza è che, per questa 69esima edizione, la sezione Giovani è stata dirottata nell'anticipo di dicembre, un ridimensionamento che, come già sottolineato, ha tolto importante visibilità mediatica al vivaio rivierasco. In tal senso, si può dire che l'affermazione di Mahmood compensi almeno in parte l'ingiusto trattamento riservato agli emergenti, portando alla ribalta proprio un fresco esponente di quella categoria che un tempo era il vanto della kermesse, e oggi è invece vissuta quasi come un peso. 
VERDETTO CHE CI STA - Onestamente, trovo questo risultato assai meno scandaloso di altri maturati in passato: penso ai citati allori conquistati da Minetti e Di Tonno - Ponce, ma anche a quelli di Marco Carta e Valerio Scanu, che ancora gridano vendetta. Il pezzo di Mahmood mi ha colpito da subito: mai avrei pensato non dico al primo posto, ma nemmeno a un ingresso sul podio; lo accreditavo più che altro di un grosso successo lontano dall'Ariston, ossia vendite, streaming, rotazione radiofonica, perché è un brano fra i più contemporanei dell'edizione, dalla costruzione originale e valorizzato dalla particolarissima vocalità dell'interprete; un brano però martellante, con quelle trovatine testuali (le ripetizioni ossessive di "Come va, come va" e "Soldi, soldi", o il battito di mani) che servono a imprimere una canzone nella mente.
BUON MECCANISMO DI VOTAZIONE - Un'opera che, dicono i primi dati diffusi da mamma Rai, è stata spinta all'affermazione dalle due giurie "d'élite", ossia quella degli esperti (così è definita nel regolamento ufficiale, anche se in diretta è stata ribattezzata "d'onore") e quella della sala stampa, mentre i televotanti da casa si erano espressi massicciamente a favore di Ultimo. Trovo però che le polemiche abbiano poco senso: era peggio col Totip o con la classifica finale affidata esclusivamente agli sms. Il sistema di votazione attualmente in vigore, col suo complesso meccanismo di percentuali, pesi e contrappesi, calcolo di medie e quant'altro, è forse il più equo possibile, al momento. Modera il peso dei ragazzini e dei fans sfegatati che smanettano sugli smartphone, senza però dare un peso eccessivo ai suddetti esperti, che in un paio di edizioni passate hanno invece fatto il bello e il cattivo tempo sancendo verdetti giustamente discussi. Poi tutto è perfettibile, due cose in particolare: gli esperti dovrebbero essere veri addetti ai lavori, ossia musicisti, autori, compositori; riguardo alla giuria della sala stampa, se ne potrebbe fare tranquillamente a meno: i giornalisti dovrebbero valutare le canzoni sulle loro testate di appartenenza, e non condizionare l'esito della gara ligure.
ULTIMO DELUSO, MA SI RIFARA' - Ultimo l'ha presa male, e posso anche capirlo. Aveva un pezzo trasversale, scritto con un linguaggio diretto che arriva ai giovanissimi ma costruito su un impianto tradizionale che può indubbiamente piacere anche a un pubblico più agée, e oltretutto ieri sera ha davvero dato fondo a tutte le sue energie, con la migliore delle performance da lui offerte in questa settimana. Non vale la pena di incupirsi per un secondo posto che poteva essere primo, il giovanotto lo capirà col tempo: a Sanremo conta più il dopo che il durante, ossia gli esiti commerciali e i riscontri di popolarità, che non la graduatoria sul palco ligure. Il gradino più basso del podio rappresenta invece il massimo cui potesse aspirare Il Volo, e i tre ragazzi lo hanno capito, accettando il verdetto con sportività e, anzi, rallegrandosene. Sarà la tranquillità di avere comunque le spalle coperte da un curriculum artistico granitico e sempre ricco di prospettive... Fatto sta che "Musica che resta", canzone iperclassica nell'impostazione e con l'immancabile esplosione di voci nel refrain, ha una sua precisa dignità ma ricalca in buona parte lo schema vincente di "Grande amore", trionfante quattro anni fa; proposta scarsamente coraggiosa, dunque, per la quale il primato sarebbe stato eccessivo. 
BERTE': VA BENE IL QUARTO POSTO - A proposito di delusioni e contestazioni: francamente inaccettabile la reazione del pubblico dell'Ariston al quarto posto di Loredana Bertè. Anche in questo caso, il passato ci ha mostrato di peggio: andando a memoria, ricordo i fischi e le urla che accolsero l'esclusione di Renato Zero dal podio di Sanremo '93. Ma attorno alla cantante calabrese era stato scritto una sorta di romanzo con lieto fine forzato che, alla lunga, è stato francamente seccante: pareva scontato, e perfino doveroso, che dovesse ricevere un premio, o un posto sul podio. Ebbene poteva starci, ma anche no. "Cosa ti aspetti da me" è stata forse la proposta più felice del suo fitto e avventuroso cammino festivaliero, penso a incidenti di percorso come "Angeli & Angeli" del '95 o "Dimmi che mi ami" del 2002, canzone anche carina ma penalizzata da enormi problemi di esecuzione. Da qualche tempo, Loredana ha ritrovato una forma vocale più che accettabile, e lo ha dimostrato anche in questi giorni, ma da qui a far passare il suo pezzo per un capolavoro ci sta di mezzo il mare. Un'opera gradevole che, come nel caso del Volo, ha trovato a parer mio la giusta collocazione in graduatoria. 
NEK: ASSURDO PIAZZAMENTO - Ben altri sono stati colpi di scena di una finalissima a tratti imprevedibile, nello svolgimento e nelle conclusioni. Il diciannovesimo posto di Nek era oggettivamente impensabile: una bocciatura sonora per un artista che, dopo il poderoso rilancio ottenuto nel 2015 con la doppietta "Fatti avanti amore" e cover di "Se telefonando", puntava senza mezzi termini alla vittoria. Vittoria che a parer mio non sarebbe stata scandalosa, perché "Mi farò trovare pronto" ha la stessa forza d'impatto dell'inedito presentato nel primo Festival targato Conti, ed è stato accompagnato da una brillantezza e una sicurezza nella tenuta del palco che avrebbero davvero meritato miglior sorte. Accanto alla vittoria di Mahmood, è forse questa la più grande sorpresa di Sanremo 2019. Più nella logica delle cose il modesto piazzamento di Renga, con un brano in crescendo, interpretato al solito in maniera convincente, ma privo di quel tocco in più in grado di farlo spiccare su altre sue precedenti produzioni; "Aspetto che torni" è comunque di buona fattura, una ballata moderna con un testo tutt'altro che banale, che dovrebbe entrare senza problemi nel repertorio dell'ex Timoria. 
ARISA IN DIFFICOLTA', TURCI MERITAVA DI PIU' - Dispiace per Arisa, cantante che, al di là delle simpatiche bizzarrie del personaggio, nell'ultimo decennio ha conquistato la stima di tanti in virtù delle sue doti canore d'eccezione, voce cristallina, senza cedimenti. Ebbene, ieri sera questa perfezione si è dissolta: la povera Rosalba è incappata in una prestazione pessima, quasi in debito di ossigeno, e mi addolora sinceramente. Si è saputo poi che era febbricitante ed è stata quasi eroica ad affrontare la ribalta: si consolerà pensando di essersi resa forse più umana, e dopotutto la sua "Mi sento bene", così leggera e orecchiabile, dovrebbe avere lunga vita anche nelle settimane post festivaliere. Delusione anche per il sedicesimo posto di Paola Turci: "L'ultimo ostacolo" ha acquisito credibilità ascolto dopo ascolto, melodia malinconica a sostegno di un sentitissimo testo d'amore paterno, fra rimpianto e speranza: per lei, qualche difficoltà di canto per via di un ritornello impegnativo, ma anche un look sensazionale che ha messo in mostra un fisico ancora splendido e delle gambe indimenticabili. Sanremo è anche questo, no? 
CRISTICCHI, SILVESTRI, GHEMON: OPERE DI PREGIO - Cristicchi e Silvestri, quinto e sesto nella graduatoria definitiva, hanno fatto incetta di premi collaterali, e questo era invece prevedibilissimo. Per il cantautore romano siamo nei pressi del capolavoro, per una "Argentovivo" straniante, ruvida, vieppiù valorizzata dal lungo intervento del rapper Rancore. Simone ha portato una composizione delicata, di struggente poetica, anch'essa a suo modo originale, in quanto si regge quasi esclusivamente su un testo di altissimo livello, mettendo in secondo piano l'impianto musicale, ridotto all'essenziale. Alla lunga è venuto fuori Ghemon con la sua "Rose viola", pezzo di raffinate atmosfere; se proprio vogliamo stare a discutere di piazzamenti, fra i primi dieci avrebbe dovuto starci lui invece di Achille Lauro, che non ho trovato neppure tanto fuori dagli schemi; refrain martellante, citazioni a go go di grossi personaggi della musica, dello spettacolo, dello sport: cosa c'è di più convenzionale? 
NIGIOTTI E NEGRITA PROMOSSI - Mi ha piacevolmente colpito il morbido rock dei Negrita, con un testo di protesta che arriva al cuore e alla testa senza ricorrere a parole eccessivamente dure e taglienti, mentre l'ingresso nella top ten è un meritato premio per Nigiotti, e per la sua splendida dedica al nonno e a un mondo più genuino e a misura d'uomo, che ieri sera l'ha portato alla commozione. Nei bassifondi sono invece rimasti i giovanissimi Federica Carta e Shade, che però, scommetto, si rifaranno sul mercato. E questo dovrebbe proprio essere un Festival in grado di far vendere molti dischi, di ottenere visualizzazioni notevoli sulle piattaforme video, perché è stato costruito proprio per centrare questi obiettivi: sfondare sul piano commerciale, lasciare un segno nelle classifiche, traguardo che col primo Baglioni era stato raggiunto solo in minima parte. 
FESTIVAL - RIVOLUZIONE - Sanremo ha perso punti in termini di audience, ed era da mettere in preventivo: a bocce ferme, rileggetevi il cast, e ditemi quante volte, in passato, si è avuto più coraggio nello sparigliare a tal punto le carte di una manifestazione così saldamente ancorata alla tradizione. Quasi la metà dei nomi in concorso erano, questo è sicuro, sconosciuti o semisconosciuti al grande pubblico, quello che in linea di massima segue Rai 1; averli portati in prima serata, nell'evento musicale, televisivo e di costume dell'anno, è stato qualcosa di autenticamente rivoluzionario. Un patrimonio innovativo che non andrà assolutamente dilapidato, un solco sul quale occorrerà insistere chiunque sia il prossimo direttore artistico (da non escludere un Baglioni tris). Innovazione e audacia anche nei dettagli del linguaggio musicale: un po' di turpiloquio in più, ma senza esagerare, tanti riferimenti più o meno velati al sesso (nudità e far l'amore si sono sprecati, senza che nessuno se ne scandalizzasse). Ed è stato anche un Sanremo molto parlato e meno cantato, col definitivo sdoganamento del rap, che, ripeto, può piacere o non piacere ma è la realtà più "à la page" dell'attuale panorama canoro nostrano. 
IL FUTURO? SERENA E AMADEUS - Tutto questo contribuisce a rendere sostanzialmente positivo il bilancio del Festival 2019, facendo passare in secondo piano gli impacci della conduzione, Bisio e Raffaele col freno a mano tirato (con la povera Virginia costretta a tirar fuori in extremis le vecchie imitazioni per ravvivare un po' il palco), la scarsa vena degli autori. La sensazione è che il gruppo di lavoro scelto dal direttore artistico non abbia avuto il tempo materiale per mettere insieme un copione decente, e si sia aggrappato al pilota automatico dell'esperienza; ma il modello Festival del ventunesimo secolo richiede qualcosa di più, in tal senso. Sono tuttavia problemi contingenti e facilmente risolvibili, magari col ricorso a padroni di casa più brillanti e più adatti alla bisogna. Nomi per il futuro? Già fatti qui sul blog in tempi assolutamente non sospetti. La precedenza spetta a Serena Rossi e Amadeus, in attesa che maturi Federico Russo o che si trovi qualche altro "battitore libero" imprevedibile, un attore tipo il buon Santamaria ammirato nella sua apparizione di qualche giorno fa. Vedremo. 

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