Serbia - Italia è una sfida quasi inedita. Chiariamo subito: di precedenti, con la vecchia Jugoslavia unita, ce ne sono a bizzeffe, quasi tutti storicamente significativi, alcuni di grandissima rilevanza (pensiamo solo alla doppia finale dell'Europeo '68 a Roma, l'unico finora vinto dagli azzurri). Ma, tutti lo sapranno però è sempre meglio ribadirlo, la mitica selezione plava, così come l'abbiamo conosciuta fino agli anni Novanta, era un'altra cosa: c'erano dentro serbi, croati, bosniaci, sloveni, macedoni, montenegrini, insomma, tutte le etnìe di quel martoriato Paese. Dal '91 in poi, in seguito ad eventi politici e bellici che sarebbe lungo e anche improprio rievocare in questa sede, le varie realtà hanno via via acquisito autonomia anche sportiva, prima la Slovenia e a seguire tutte le altre.
La Jugoslavia, pur ridotta in pratica alle sole Serbia e Montenegro, mantenne comunque il suo nome, anche calcisticamente, fino al 4 febbraio del 2003, e in tale veste iniziò le qualificazioni a Euro 2004: il confronto con l'Italia giocato a Napoli nell'ottobre del 2002, e chiusosi sull'1-1 (Mijatovic e Del Piero in gol, quest'ultimo con una deviazione avversaria), rappresentò di fatto l'ultimo confronto fra la nostra rappresentativa e quella slava.
NASCE LA SERBIA - MONTENEGRO - Poco meno di un anno dopo, settembre 2003, gli azzurri trovarono in campo, per il retour match di Belgrado, la nuova rappresentativa della Federazione di Serbia e Montenegro. Ed è questo l'unico precedente ufficiale (ossia coi tre punti in palio) autentico fra le due squadre, al quale fece seguito, nel giugno 2005, un'amichevole disputata a Toronto, nell'ambito di una tournée della selezione di Lippi, e chiusasi sull'1 a 1 (Lucarelli a segno per noi). Si tratta comunque di due precedenti "spuri", perché ben presto anche i montenegrini acquisiranno totale indipendenza anche sui campi di football, e avranno proprio con noi uno dei primi confronti ufficiali, nell'ambito del girone eliminatorio per la Coppa del Mondo in Sudafrica. Ma questa è un'altra storia...
LA SECONDA ITALIA DEL TRAP - Torniamo dunque a quel confronto di otto anni fa. Era la... seconda Italia targata Trapattoni. La prima, nata e cresciuta fra l'entusiasmo generale, aveva affrontato il Mondiale del 2002 nel ristretto novero delle grandi favorite, ma ne era uscita con le ossa rotte agli ottavi, per fattori esterni (alcuni arbitraggi furono effettivamente vergognosi, e il più scandaloso non fu certo quello famigerato di Byron Moreno nel confronto con la Sud Corea) ma anche interni, ossia rendimento nettamente sotto le attese di diversi protagonisti (in primis Totti, che doveva essere una delle grandi figure del torneo) e clamorosi errori e incertezze di gestione, da parte dei uno dei tecnici più vincenti nella storia del calcio italiano e internazionale. Insomma, si cadde dall'alto e ci si fece malissimo, tanto che la squadra continuò per mesi a portare i segni di quella traumatica esperienza: il dopo - Mondiale, apertosi con una sconfitta con la Slovenia già rievocata su questo blog, proseguì con un incerto avvio nelle eliminatorie europee culminato con la sconfitta in Galles. A quel punto, e si era nel tardo autunno del 2002, la qualificazione per il torneo continentale pareva compromessa, e la panchina del Trap, a cui il presidente federale Carraro aveva rinnovato la fiducia dopo la Corea (non si è mai capito se per convinzione autentica o per... mancanza di alternative immediate) terribilmente traballante.
Fu a quel punto che ci fu una piccola svolta: il tecnico decise di smuovere l'ambiente aprendo le porte della squadra a giocatori non di primissimo piano, sul piano della militanza di club e dello spessore tecnico, eppure meritevoli di una considerazione che, fino a quel momento, era stata loro negata. A partire dall'amichevole novembrina con la Turchia a Pescara, ecco immessa nel serbatoio azzurro la benzina di gente come Nervo, Di Natale, Corradi, Legrottaglie, Perrotta, Camoranesi, Miccoli. L'intento di Trap era duplice: allargare la rosa dei giocatori con esperienza internazionale, e scuotere alcune grandi figure azzurre che, a partire dal Mondiale, sembravano essere sprofondate nel torpore, forse per mancanza di concorrenza.
UN 2003 MEMORABILE - L'effetto fu dirompente: la squadra riacquistò brio, molti dei nuovi fornirono un contributo talmente sostanzioso da entrare in pianta stabile nel giro, e la loro presenza servì da stimolo ai vecchi (nel senso di militanza) azzurri, che ritrovarono motivazioni e rendimento. Ne nacque un 2003 sensazionale, con la bellezza di sette vittorie consecutive (una addirittura in Germania, con splendido gol di Vieri) e l'impetuosa risalita nel girone di qualificazione europeo, culminata con il trionfo milanese sul Galles (che aveva inizialmente preso la vetta grazie a una partenza strepitosa): tripletta di Inzaghi e prestazione scintillante, pochi giorni prima della trasferta belgradese.
Gli slavi, dal canto loro, erano una delle delusioni della fase eliminatoria, essendo incappati in passi falsi incredibili (quattro punti su sei lasciati all'Azerbaigian!), e in quel momento avevano come unico, difficile obiettivo quello del secondo posto nel girone, che avrebbe dato loro l'accesso ai playoff.
LA SFIDA DI BELGRADO - Ecco, è questo il quadro d'assieme in cui le due squadre, in quel settembre 2003, scesero in campo nel maestoso Marakanà, per la verità mezzo vuoto. Per la nostra squadra era e rimane uno dei campi tradizionalmente più ostici, eppure partimmo favoriti, sull'onda dello straordinario filotto di risultati di cui si è detto e del gioco scintillante mostrato coi britannici.
La gara dei nostri deluse invece le attese, e rischiò di tramutarsi in un nuovo scivolone trapattoniano. I padroni di casa, consapevoli di essere all'ultimissima spiaggia, ci schiacciarono fin dall'inizio, e fu subito sofferenza. Centrocampo tagliato fuori, ma la difesa resse egregiamente e davanti c'era un Inzaghi in stato di grazia: dopo alcune occasioni fallite dai serbi, Pippo sfruttò un lungo lancio dalla retroguardia incuneandosi nella stranita difesa avversaria e freddando Jevric di sinistro. Quel gol cambiò la partita fino all'intervallo, l'Italia prese possesso delle redini del match, sfiorò il raddoppio con Vieri e si vide negare un rigore ancora sullo scatenato Superpippo. Ma nella ripresa i locali tornarono a caricare col sangue agli occhi, e gli uomini del Trap non riuscirono più a ripartire con i loro contropiede mortiferi: nel finale giunse dunque, meritato, il pari di Ilic.
LO "STELLONE AZZURRO" - Serviva a poco ai serbi, ma era anche un mezzo buco nell'acqua per l'Italia, che avrebbe rischiato di dover andare agli spareggi fra le seconde se non fosse giunto in aiuto il classico italico stellone: il Galles si fece clamorosamente fermare sul pari interno dalla Finlandia, in caso di vittoria si sarebbe presentato al turno finale (da giocare ancora in casa di fronte agli slavi ormai fuori dei giochi) con un punto di vantaggio sui nostri. Così non fu, nell'ultima gara l'Italia dispose con facilità dell'Azerbaigian a Reggio Calabria e volò in Portogallo. Dove il secondo fallimento, dopo quello coreano, consegnò alla storia azzurra Trapattoni come il peggior commissario tecnico del dopoguerra, in rapporto alla qualità del materiale umano avuto a disposizione.
LO "STELLONE AZZURRO" - Serviva a poco ai serbi, ma era anche un mezzo buco nell'acqua per l'Italia, che avrebbe rischiato di dover andare agli spareggi fra le seconde se non fosse giunto in aiuto il classico italico stellone: il Galles si fece clamorosamente fermare sul pari interno dalla Finlandia, in caso di vittoria si sarebbe presentato al turno finale (da giocare ancora in casa di fronte agli slavi ormai fuori dei giochi) con un punto di vantaggio sui nostri. Così non fu, nell'ultima gara l'Italia dispose con facilità dell'Azerbaigian a Reggio Calabria e volò in Portogallo. Dove il secondo fallimento, dopo quello coreano, consegnò alla storia azzurra Trapattoni come il peggior commissario tecnico del dopoguerra, in rapporto alla qualità del materiale umano avuto a disposizione.
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