Per mezz'oretta, è stata già un'Italia da Europeo: spietata, autoritaria, sicura di sé, in poche parole "adulta". Partite come quella di venerdì sera al Marakanà rappresentano la dimostrazione di quali ancora siano, nonostante la cattiva gestione politica e finanziaria, i disagi dei vivai e l'invasione straniera che sta soffocando le nuove leve nostrane, le enormi potenzialità del nostro movimento calcistico, della nostra scuola. Si badi, non si sta parlando qui della caratura tecnica della squadra azzurra: ho già scritto, e lo ribadisco, che abbiamo avuto, eccome, Nazionali più forti di questa. Il riferimento è alle risorse di talento e di classe in dote al nostro calcio, che in una congiuntura così critica come quella attuale hanno comunque permesso un rinnovamento dei ranghi tale da portarci a una resurrezione fragorosa, a poco più di un anno da uno dei più colossali disastri nella storia della nostra rappresentativa.
Quindici mesi fa, subito dopo il Mondiale, i più pessimisti parlavano di anno zero per il nostro calcio, i più ottimisti dicevano che, pur dovendosi attendere un miglioramento, sarebbe stato difficile rivedere l'Italia su livelli decenti in tempi brevi. La squadra di Prandelli, invece, ha bruciato le tappe. Il 2011 è stato un anno di esami superati: c'era quello, fondamentale, della qualificazione europea, perché puoi crescere finché vuoi ma se non ottieni risultati tutto viene vanificato; e poi c'era quello, ben più importante in prospettiva, della valutazione della caratura internazionale del gruppo azzurro. Caratura internazionale ridotta ai minimi storici dalla seconda, sciagurata gestione Lippi.
Dopo gli impacci della prima fase della nuova era, culminata nell'orrida amichevole di Klagenfurt con la Romania (saggio di non gioco all'ennesima potenza), il test di febbraio a Dortmund con i tedeschi ha fatto scattare la scintilla: al cospetto di una delle Nazionali al momento più forti al mondo (dopo il Mondiale, la conferma nello strepitoso ruolino di marcia nel girone di qualificazione europeo, fatto di sole vittorie), i nostri hanno sfoderato gli artigli, giocando a testa alta e senza paura e strappando un meritato pareggio in rimonta. Il gruppo ha assunto una fisionomia tecnica e tattica definita e ha visto sbocciare prepotentemente la propria personalità, liberandosi nel contempo dell'enorme carico psicologico ereditato dai disastri mondiali: dopo, tutto è venuto di conseguenza. Le vittorie in Slovenia e Ucraina, l'affermazione agostana sulla Spagna, il successo qualificazione ostinatamente inseguito e alfine raggiunto nel retour match con gli sloveni a Firenze e, a coronamento, il pari di Belgrado. Tutti risultati ottenuti mai rinunciando al gioco, che magari procede a strappi e non sempre attinge vette di eccellenza, ma c'è, si vede, e si vede la volontà della squadra di voler manovrare, costruire, senza più affidarsi a soluzioni caotiche ed estemporanee.
Torniamo dunque al punto di partenza: al Marakanà, la prima mezz'ora è stata giocata su livelli che, già da ora, ci consentirebbero di affrontare il viaggio in Polonia e Ucraina con legittime speranze. Autorevolezza, concretezza, carattere. Giocatori senza più tremarella al cospetto dei grandi impegni internazionali (la crescita impetuosa di Marchisio ne è il miglior emblema), capaci di reggere alla pressione di un ambiente caldo e ostile con la forza dei nervi distesi. Si dirà: con la qualificazione in tasca si gioca più tranquilli. Già, ma con la qualificazione in tasca si può anche andare su certi campi a sbracare e a prendere sonori ceffoni. In circostanze ambientali oggettivamente sfavorevoli e contro una compagine comunque di buona grana tecnica, i nostri hanno esercitato un predominio tattico e di manovra evidente, a tratti irretendo perfino l'avversario.
Poi, non essendo ancora al livello delle grandi, è chiaro che non potesse durare. Germania e Spagna, già qualificate, hanno vinto sui campi di grosse squadre che si giocavano tutto o quasi, Turchia e Repubblica Ceca. A noi, questo killer instinct ancora manca, ma la sensazione è che stia prendendo forma. Il resto l'ha fatto la furia serba, di fronte alla quale del resto sono andate in difficoltà, in passato, anche compagini azzurre più scafate di quella attuale (penso all'Italia del Trap del 2003, evocata nel mio precedente post, o a quella bearzottiana che nell'81, da quelle parti, soffrì le pene dell'inferno, uscendo indenne grazie alle prodezze di Zoff).
Rimane, a parte il punto, un patrimonio prezioso da salvaguardare. Un patrimonio di mentalità e personalità. E qualche problema tattico e tecnico da risolvere: Chiellini, ad esempio, è meglio che ritorni al centro, perché sulla fascia non è più in grado di fornire quello sprint nelle proiezioni che sanno dare Criscito e Balzaretti. Il centrocampo si sta rivelando la sorpresa più piacevole di questa Italia: è necessario però che gravi meno lavoro sulle spalle di questo splendido Pirlo, e che Montolivo si assuma più responsabilità e lavori più palloni: ha le doti per diventare un autentico califfo della zona nevralgica, è cresciuto molto ma da lui è lecito attendersi ancora di più. Detto di un Marchisio cursore e incursore devastante, c'è un attacco che deve concretizzare di più: a Belgrado si poteva andare sul 2-0, Rossi in azzurro continua a sbagliare troppo sotto porta, ma il suo contributo di vivacità e di soluzioni offensive resta fondamentale. Abbinarlo ad attaccanti leggeri come Cassano però non è il massimo, secondo me: Pazzini e Balotelli meritano la maglia da titolare, Matri rimane una eccellente alternativa e il cittì crede molto in Osvaldo, a proposito del quale non si comprendono le perplessità sulle sue origini: il ragazzo è italo - argentino e ha già fatto parte della nostra Under 21, perché mai non potrebbe giocare nella rappresentativa maggiore?
In vista di Pescara, ha ragione il tecnico a non voler rivoluzionare la formazione, per non rischiare l'effetto Cipro (l'ultima partite delle ultime eliminatorie mondiali, che Lippi, già qualificato, affrontò con un undici inedito rischiando una sconfitta storica, prima che Gilardino gli togliesse le castagne dal fuoco), ma c'è la necessità di far crescere l'esperienza internazionale di giocatori che potranno venir utili, come Sirigu, Astori, Aquiliani e Giovinco.
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