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giovedì 12 giugno 2014

BRASILE 2014: LA MIA PICCOLA GUIDA AL MONDIALE. PARTE PRIMA: EMOZIONI, MEMORIE E SCORCI DI VITA


Il Mondiale non è soltanto il massimo consesso calcistico del globo, suprema tenzone fra le migliori espressioni tecniche dell'universo football. Il Mondiale è una festa, anzi, "la festa" per eccellenza del pallone e di chi lo ama fin quasi a venerarlo. E' quasi una ricorrenza, nel senso... liturgico del termine, e pazienza se rischio di passare per blasfemo. Definirlo evento sportivo è riduttivo: è un magnifico happening catalizzatore di emozioni, un formidabile aggregatore sociale, un alimentatore di sogni e di memorie. Perché il ricordo di ogni edizione della Coppa del Mondo non si esaurisce solo nei gol, nei match più avvincenti, nei campioni epocali e in quelli che hanno ballato una sola estate, si chiamino Ronaldo o Maradona, Totò Schillaci o Fabio Grosso. E' qualcosa di più, è rimembranza di frammenti di vita tout court: ad ogni gol, ad ogni campione, ad ogni partita è legata la memoria di un momento particolare della nostra esistenza, di cosa facevamo noi, i nostri amici, i nostri cari mentre sullo schermo si dipanavano le alterne vicende del torneo. 
IL MONDIALE DELLA MIA VITA - Tutti, o perlomeno tutti quelli che amano visceralmente il calcio, hanno un loro Mondiale preferito. Il mio rimane, ancora oggi, quello del Novanta, ed è chiaro, come da ragionamento di poche righe sopra, che non mi riferisco solo all'aspetto sportivo. Italia '90 fu una kermesse di livello tecnico fra il discreto e il buono: nulla di trascendentale, ma nemmeno quell'obbrobrio che troppi storici hanno raccontato a chi è venuto dopo. Ma, per me, fu il Mondiale "perfetto", perché coincise con la fase forse più "ispirata" della mia gioventù: il secondo anno di ragioneria andato benissimo che mi aprì le porte a tre mesi di spensierata vacanza, ma soprattutto una lunga, interminabile vigilia di un evento che attendevo, in pratica, dalla fine di Mexico '86. 
IL GRANDE GUERINO - Negli ultimi dodici mesi, la lunga attesa fu scandita settimanalmente dall'appuntamento in edicola col Guerin Sportivo, da poco conosciuto, che con splendidi servizi e iniziative indimenticabili mi portò per mano nel cuore dell'appuntamento iridato. E poi c'era tutta un'atmosfera particolare, inebriante: sarà stato perché si trattò un Mondiale praticamente "sotto casa", sarà stato perché in campo andò una Nazionale azzurra fra le più brillanti e spettacolari di sempre, sarà stato per i tanti stranieri del nostro campionato (allora davvero il migliore del mondo) che a Serie A finita tornarono da noi a contendersi la Coppa del Mondo con le maglie delle rispettive Nazionali (la Germania Ovest interista, l'Olanda milanista, il Brasile un po' napoletano...): sarà stato per una mare di altre cose, ma quell'estate '90 rimane per me un ricordo stupendo, nonostante il finale agrodolce per la squadra di Azeglio Vicini. 
IL MONDIALE E' UN PEZZO DI VITA - Ecco, questo è il Mondiale: ti scava dentro l'animo, ti si fissa nel cuore, diventa parte integrante del tuo bagaglio umano e culturale: può apparire esagerato, ma così è. Il Mondiale è passione pura per il football, senza provincialismi; il Mondiale è estate (spero non consentano, nel 2022, di disputarlo in inverno; e spero non consentano di disputarlo in Qatar...), col sottofondo musicale delle canzoni balneari, dei tormentoni da ombrellone come "Un'estate al mare" (1982) o "Sotto questo sole" (1990), quei brani spensierati e leggeri di cui oggi si è un po' perso lo stampo; il Mondiale è nelle strade delle nostre città, coi balconi, i terrazzi e le finestre imbandierate.
IL SENSO DEL MUNDIAL - Certo, un tempo era meglio, e non solo per una banale questione anagrafica che ti fa vedere il passato con nostalgia: era meglio vuoi perché c'era un canale tv visibile a tutti che ti portava in casa ogni singola partita e non solo 25 come oggi, vuoi perché oggi del calcio internazionale si sa ogni cosa, mentre un tempo la Coppa del Mondo era attesa in maniera spasmodica perché consentiva di vedere all'opera campioni di cui poco si sapeva, a parte qualche articolo sui giornali specializzati (e in questo senso il citato Guerino era il non plus ultra). Ma il fascino dell'evento in sé rimane intatto, e anzi, da un certo punto di vista, oggi il Mundial ha un senso ancora più profondo: nell'era delle squadre di club che hanno perso quasi ogni legame col territorio, diventando serbatoi di giocatori provenienti da ogni parte del pianeta, le Nazionali consentono di riscoprire l'importanza dell'identità di patria (ebbene sì), del senso di appartenenza, e diventano la più attendibile cartina di tornasole (a parte gli isolati casi di "oriundi") dell'effettivo stato di salute di ciascun movimento calcistico.  (1 - Continua). 

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