Nel mai abbastanza rimpianto "calcio di una volta", diciamo fino agli anni Ottanta, le amichevoli fra squadre nazionali avevano una loro altissima dignità, grande attendibilità tecnica e un seguito popolare vastissimo. Lo dimostra il fatto che alcune di queste partite sono rimaste nella memoria collettiva e hanno letteralmente fatto la storia di questo sport: pensiamo solo alla mitica Inghilterra - Italia del novembre 1934, quella dei "Leoni di Highbury" di Vittorio Pozzo, o a un'altra sfida fra inglesi e azzurri, sempre in novembre, ma nel 1973 a Wembley, prima nostra vittoria esterna sulla compagine coi tre leoni sul petto.
Da un po' di tempo non è più così, o comunque lo è solo in parte: coi calendari del club sempre più intasati, anche da impegni di puro carattere promozionale (e perciò altamente remunerativi), e con le stesse rappresentative chiamate a sostenere gironi di qualificazione continentali e mondiali sempre più intensi, le amichevoli hanno perso carica attrattiva per gli appassionati e stimoli per gli atleti. Anche per questo, è tremendamente difficile giudicare gare come l'Italia - Spagna di questa sera a Bari: i giocatori l'hanno interpretata al massimo delle loro attuali possibilità? Ed è pertanto attendibile quanto emerso dal terreno di gioco, cioè risultato e prestazioni?
LA PARTITA - Il mio parere: sì, lo è. Ho visto giocatori estremamente motivati da una parte e dall'altra. Come spesso capita in questi incontri, la credibilità tecnica va misurata sull'arco dei primi quarantacinque minuti, massimo un'oretta; poi, le sostituzioni a raffica snaturano il progetto originale di squadra: diventa un'altra partita, in cui tenuta atletica, fiammate individuali e fortuna finiscono col giocare un ruolo determinante.
Ebbene, finché è stata partita vera, si è vista forse la più bella Italia della gestione Prandelli. Un giudizio che va rapportato al valore dell'avversario: questa nostra Nazionale ha giocato con esiti soddisfacenti altre sfide di alto livello, su tutte l'amichevole in Germania di inizio anno, ma stasera l'impegno era il più difficile che possa attualmente proporre il panorama internazionale. Ecco dunque un'Italia in vistosa crescita di personalità, capace di aggredire cotanto rivale senza timori reverenziali, di sfruttare le corsie laterali come i lanci lunghi centrali e gli scambi in velocità, il tiro da fuori come i rapidi inserimenti in area. Bando alle ciance: nel primo tempo i nostri avrebbero meritato un vantaggio di almeno due gol, e invece si sono ritrovati con un pari beffardo e bugiardo. Si sono visti un Criscito con ben altro piglio rispetto agli ultimi tempi genoani, un Cassano mai così brillante nella sua seconda vita azzurra (esclusi i gol facili con le Far Oer), il solito Rossi guizzante ma un po' sprecone, un Montolivo a sprazzi ma più presente nel vivo del gioco e giustamente premiato col primo gol in Nazionale, un Chiellini ruvido quanto basta.
GIUSTO PREMIO - Nella ripresa, vuoi per il naturale calo fisico, vuoi perché gli iberici avevano già nel primo tempo ripreso a tessere la loro ragnatela paralizzante (per gli avversari), la bilancia del gioco ha preso a pendere dalla parte dei campioni d'Europa e del mondo, e il tourbillon di cambi ha fatto il resto, opponendo una squadra dalla tecnica eccelsa e con una ben definita e solida identità, al di là delle rotazioni di uomini, a un'altra che sta ancora uscendo dal bozzolo e quindi non può vantare le sicurezze tattiche e caratteriali dei dirimpettai. Anche in questa fase di sostanziale dominio spagnolo, tuttavia, si è visto qualche ficcante contrattacco italiano, e si è vista soprattutto la capacità di lottare che ha portato i nostri ad armare una difesa paziente e tenace. Insomma, nonostante il classico "un tempo per uno", il... mezzo gol di Aquilani (tre segnature in azzurro di cui due... in comproprietà, ricordiamoci il punto della vittoria contro Montenegro nel 2008, con dinamica del tutto simile a quello di stasera) è giunto a premiare giustamente la squadra che, partendo da sfavorita, ha inseguito con più convinzione il risultato pieno e ha costruito palle gol più nitide.
COSA C'E' ANCORA DA FARE - Vittorie come questa fanno morale, e possono dare la spinta per crescere ulteriormente e gettare il cuore oltre l'ostacolo rappresentato dai nostri limiti attuali, che non sono tanto tecnici (come tasso di classe questa squadra è inferiore a diverse rappresentative azzurre del passato, ma non è affatto da buttar via) quanto legati a una situazione contingente del calcio italiano, che rallenta o impedisce la crescita di nuovi talenti nostrani e costringe il Cittì ad avere un campo di scelta limitatissimo, a causa della presenza sempre più soffocante di stranieri perlopiù sopravvalutati. Anche per questo, ciò che è riuscito a fare in dodici mesi Prandelli, cioè restituire dignità internazionale a una squadra rasa al suolo ai Mondiali sudafricani, ha del miracoloso. E tale dignità non passa solo attraverso dati concreti (qualificazione europea quasi raggiunta e rientro nella top ten della classifica FIFA) ma anche attraverso il nuovo entusiasmo che il gruppo ha creato al suo interno e intorno a sé, entusiasmo che genera coraggio e positiva incoscienza e che porta a non affrontare più le grandi del calcio mondiale col "vitello nella pancia". Detto questo, la strada è ancora lunga, occorrono continuità di gioco, una ulteriore crescita di personalità e nuove valide alternative tecniche, leggasi lancio di altri giovani, e in quest'ultimo punto sta forse il compito più improbo per l'allenatore.
TRIONFO... STATISTICO - Il 2 a 1 di Bari alla Spagna avalla la legge statistica dei grandi numeri, in quanto non superavamo gli iberici da ben 17 anni: fu un altro 2 a 1 e lo ricordiamo tutti, a USA '94. Altri tempi. Poi solo delusioni.. Tante amichevoli agrodolci o amare: il 2-2 di Salerno a fine '98, con l'esplosione di Inzaghi e una Spagna che con Camacho in panca stava risollevandosi perentoriamente dopo il triste crepuscolo dell'era Clemente (chiusasi con una clamorosa sconfitta a Cipro), un ko al Montjuich di Barcellona prima di Euro 2000 (0-2), il pari di Genova (1-1) nel 2004, in un match che doveva essere di preparazione all'Europeo e che si risolse essenzialmente in una celebrazione di Roby Baggio, alla sua ultima apparizione in azzurro, e infine la sconfitta ad Elche nel marzo 2008: fu David Villa a decidere un confronto giocato più che dignitosamente dai nostri. In gare ufficiali, persino superfluo ricordare il pari a reti bianche di Euro 2008, con la successiva infausta giostra dei rigori e la fine della gestione Donadoni.
CARLO CALABRO'
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