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mercoledì 23 settembre 2015

LE MIE RECENSIONI: "TUTTE LO VOGLIONO", UN BRIGNANO DA COMPITINO PER UNA COMMEDIA CON POCO SALE


Una disintossicante commedia leggera old style, caciarona e ridanciana dall'inizio alla fine, senza cedimenti né involuzioni dovute a inopportuni cambi di registro narrativo. Questo chiedo da anni al cinema italiano, per poi essere quasi puntualmente tradito dalla pellicola di turno. E purtroppo nemmeno il nuovo film con Enrico Brignano, "Tutte lo vogliono" (regia di Alessio Maria Federici), ha sciolto il nodo dell'attesa. Nel caso specifico la mancanza è ancor più grave, perché chi ha concepito e realizzato l'opera aveva fra le mani un mattatore dei giorni nostri come il lanciatissimo artista romano, affiancato oltretutto da una spalla come Vanessa Incontrada che, grazie ad alcune pregresse esperienze televisive, ben si presterebbe a una parte comica tout court. 
Intendiamoci, nulla di male nel sentimentalismo, nel mood romantico di una storia d'amore dai contorni favolistici. Si vorrebbe, solo, un minimo di coerenza stilistica, una scelta netta sulla strada da far imboccare alla sceneggiatura. O, ancora meglio, una più adeguata fusione fra sorriso e lacrima, fra comicità e sdolcinatezza, quella capacità di sintesi che il cinema italiano sembra aver smarrito, salvo rare eccezioni. Che poi, se proprio si vuol virare sul feuilleton rosa, bisognerebbe avere almeno un'idea originale, cosa che non si può certo dire di questa scintilla che scocca, imprevedibilmente (ehm), fra Orazio - Brignano e Chiara - Incontrada, fra un ragazzo del "popolino" che tira a campare grazie agli animali (letteralmente: lavora in un negozio di toelettatura per gli "amici a quattro zampe" e realizza video improbabili, con bestioline protagoniste, da caricare sul web sperando di trarne notorietà e guadagno) e una fanciulla dell'alta società che ha intrapreso con successo uno dei nuovi mestieri del 21esimo secolo (food designer) e opera in contesti di alto lignaggio. 
Insomma, su questo fronte le alzate d'ingegno latitavano, e allora non era meglio insistere fino alla fine sul registro disimpegnato di inizio film? Per un'oretta, in fondo, qualche guizzo brillante emerge qua e là, a partire dalla lunga avventura "on the road" del protagonista: Brignano è alla guida di un'auto accanto a un autentico scimpanzè, passeggero sui generis che, paziente, ascolta il suo racconto a posteriori dell'avventura con Chiara. Una serie di battute a doppio senso, ma tutto sommato buttate là senza insistervi troppo e quindi diluendo lo sgradevole effetto "umorismo da caserma", poi la trovata del GPS (Generoso Partner Sessuale), improbabile figura professionale attorno a cui ruota l'equivoco su cui si regge il film, con l'ingenuo e bonaccione Orazio che si vede trasformato, involontariamente, in "stallone" e insegnante di sesso. Un equivoco che avrebbe fatto la felicità degli sceneggiatori di certe commedie scollacciate anni Settanta e Ottanta, ma che in questo caso viene sfruttato solo in minima parte. Il vero peccato originale è però, come si accennava all'inizio, la valorizzazione inadeguata dello stato di grazia di un Brignano ultimamente debordante in altri contesti (teatro, tv), e che si limita qui al compitino, intristendosi alfine nella deriva sentimentale della seconda parte del film. 
Ricapitolando: puntare tutto su Enrico, far emergere la vis comica di Vanessa (che oltretutto ormai parla un italiano quasi perfetto, con scarse inflessioni iberiche) e lavorare sul divertente intreccio di malintesi e situazioni esilaranti che poteva scaturire dallo scambio di persona di cui è "vittima" Brignano. Erano queste le sole strade percorribili per far salire di tono il film, per trasformarlo da pellicola dignitosa (e nulla più) in buon esempio di commedia leggera 2.0. Altre soluzioni non ce n'erano, anche perché gli attori di contorno erano, appunto, di contorno, comprimari, a distanza siderale dalle potenzialità dei due grossi calibri, e quanto di più lontano da certi caratteristi del passato capaci di "griffare" una pellicola anche con pochi minuti di recitazione. Fastidiosa l'insistenza, in questo come in altri film del genere, su reduci di Zelig che, fuori dal loro habitat naturale, rendono sì e no al 30 per cento, soprattutto Andrea Perroni e Massimo Bagnato, mentre un pochino più "in parte" è parsa Marta Zoboli, senza però miracol mostrare. 

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