Powered By Blogger

martedì 19 giugno 2018

FRANCIA 1938: OTTANT'ANNI FA IL SECONDO TITOLO MONDIALE DELL'ITALIA DEL CALCIO (1)

                                Pozzo con la Coppa del Mondo, circondato dai suoi azzurri

Questo giugno 2018 è un mese ricco di ricorrenze fondamentali, per il calcio italiano. Ho parlato poche settimane fa dei cinquant'anni dell'unico alloro europeo azzurro, datato 1968. Ancor più importante è la celebrazione che cade giusto oggi: il 19 giugno del 1938, ottant'anni fa, la nostra Nazionale conquistava per la seconda volta consecutiva il titolo mondiale, coronando così un decennio che l'aveva vista affermarsi e consolidarsi come massima potenza del pallone planetario.
Parlare con enfasi di quei trionfi degli anni Trenta non sempre è facile, ai giorni nostri: si rischia sempre di passare per nostalgico di un'epoca che, sul fronte della grande storia, ha lasciato dietro di sé una scia di danni e lutti. Quando si ricordano le imprese di Vittorio Pozzo e dei suoi ragazzi, fin troppo spontaneo viene l'associazione mentale col Paese e col potere politico che erano rappresentati da quella squadra: ma l'Italia del '38, come quella del '34, meritano una trattazione squisitamente calcistica, perché quegli allori li raggiunsero in virtù di doti tecniche, fisiche e morali, con uno stile di gioco, una classe, un'organizzazione e uno spirito agonistico che non trovavano pari, in quegli anni. 
NEL '34, UNA VITTORIA SOFFERTA MA MERITATA - Del trionfo romano nella seconda Coppa del Mondo, sofferto ma legittimo, parlai diffusamente in due articoli che scrissi nel 2014, in occasione dell'ottantesimo compleanno di quel successo ( qui il primo, e qui il secondo). Un successo che in tanti, soprattutto a posteriori, hanno contestato e tuttora contestano, perché ritenuto inficiato da qualche favore arbitrale di troppo e forse anche dall'influsso malefico dell'immanente presenza del Duce. All'epoca spulciai giornali del tempo e testimonianze successive, passando in rassegna commenti e cronache dettagliate dei vari match: l'impressione che ne trassi fu che l'Italia si era sì giovata di alcune spintarelle da parte dei direttori di gara, ma non più numerose né più gravi di quelle di cui, in tante edizioni della rassegna iridata, hanno goduto tanti padroni di casa; ma ciò che più conta è che, per il rendimento offerto sul campo, per la superiorità di gioco più volte espressa, per il numero di occasioni-gol create, i nostri meritarono comunque la conquista finale. Ad ogni modo, per i dubbiosi più irriducibili il quadriennio successivo fornì tutte le conferme richieste e non richieste. 
I LEONI DI HIGHBURY - Non ci fu riposo, per i freschi campioni del mondo: già nel novembre del '34 furono chiamati a un'epica sfida, a Londra, all'Highbury Stadium, contro i superbi inglesi, che si tenevano prudenzialmente alla larga dalla competizione iridata. Gli azzurri persero, ma disputarono una gara unanimemente lodata per slancio caratteriale e qualità di manovra: una doppietta di Meazza consentì di risalire dallo 0-3 al 2-3, dopo che Ceresoli, portiere che aveva preso il posto del grande Combi (ritiratosi), aveva già parato un rigore, e dopo che Monti, il centromediano, era già finito ko per una frattura a un piede, lasciando i suoi in dieci. Una prova che non è esagerato definire "eroica" e che ebbe vastissima eco sulla stampa e sui pochi altri media all'epoca disponibili. 
RINNOVAMENTO GRADUALE - Da quel momento, il Commissario Unico Pozzo iniziò un rinnovamento assai graduale, ma altrettanto profondo. Va ricordato che la squadra trionfatrice del '34 era piuttosto stagionata in diversi elementi: detto di Combi, che appese le scarpette al chiodo al culmine della gloria, anche Schiavio aveva dato l'addio alla Nazionale, mentre cominciavano ad accusare il peso delle tante battaglie i vari Ferraris IV, Monti, Allemandi, Bertolini. Ma il trainer non aveva fretta: sapeva che, per un periodo limitato di tempo, i suoi "pretoriani" gli avrebbero garantito ancora un buon rendimento. Si limitò a qualche "rimescolamento di carte", col ripescaggio di atleti che già avevano fatto parte del gruppo in passato (come Montesanto, Pitto e Serantoni), all'inserimento di meteore come l'oriundo Scopelli, e al lancio di soli due ragazzi destinati a scrivere a chiare lettere il loro nome nel libro azzurro: l'ala sinistra Colaussi e il centravanti Piola. L'esordio di quest'ultimo fu entusiasmante, in linea con un carriera che sarebbe stata onusta di gloria: una doppietta al Prater di Vienna, nel marzo '35, per la prima vittoria italiana in terra d'Austria. Era un match valido per la Coppa Internazionale, trofeo già vinto dai nostri nel '30 e che verrà riconquistato pochi mesi dopo, a novembre, grazie a un 2-2 casalingo con l'Ungheria. 
IL SORPRENDENTE ALLORO OLIMPICO - Seguì una fase interlocutoria, in attesa della disputa del torneo olimpico di calcio (ma ci fu l'esordio di un'altra futura colonna, Andreolo). A Berlino '36 l'Italia, nel rispetto dei regolamenti internazionali, si presentò con una rosa definita di "goliardi", formata da calciatori - studenti che mai avevano giocato in Nazionale A e in pochi nella B (Foni e Marchini), qualcuno militante in club di serie A ma perlopiù nelle divisioni inferiori. Una  rappresentativa messa insieme in maniera un po' ardita e avventurosa, che però, affidata alla sapiente guida di Pozzo, diventò un monolite e conquistò clamorosamente la medaglia d'oro. Alcuni dei giovani artefici di quell'impresa vennero in seguito provati nella Maggiore: Piccini e Marchini non durarono a lungo, ci fu qualche apparizione di Frossi, l'eroe della finale tedesca coi suoi due gol, mentre entrarono in pianta stabile nel gruppo i terzini Foni e Rava e il mediano Locatelli. 
PASSAGGIO DI CONSEGNE FRA DUE GRUPPI "MONDIALI" - Dopo l'alloro berlinese l'innovazione divenne dunque più profonda: in breve tempo, dei campioni di Roma '34 restarono solo Monzeglio, Ferrari e il sempre grandissimo Meazza. Dopo Piola, Colaussi e Andreolo, salirono alla ribalta giovani rampanti come i tre citati olimpionici e il portierone Olivieri, che non gode forse di grande fama "storica" in rapporto ad altri celebri numeri uno, ma che è da considerare uno dei più forti estremi difensori italiani di tutti i tempi. Et voilà, quasi senza accorgersene, con mano leggera come una piuma ma estremamente ferma e sicura, Pozzo aveva "rifatto" l'Italia, congedando dignitosamente il gruppo delle prime affermazioni euromondiali e affidandosi a una nuova nidiata di ragazzi, che mostrarono subito notevole efficienza nelle sfide di alto livello, andando ad esempio a infrangere un altro tabù, la prima vittoria sul campo della Cecoslovacchia, nel 1937. 
IL DRAMMA ANSCHLUSS - Eravamo nel frattempo giunti quasi alla vigilia della terza Coppa del Mondo, la cui organizzazione venne affidata alla Francia. Ma il clima politico a livello internazionale si era deteriorato: la Germania nazista di Hitler stava cominciando a dare segni di impazienza, e nel marzo '38 procedette senz'altro alla famigerata Anschluss, assorbendo l'Austria nel Reich. Sul piano calcistico, la diretta conseguenza fu la cancellazione della Nazionale danubiana, che per oltre un decennio, a cavallo fra gli anni Venti e i Trenta, era stata una delle più forti del Vecchio Continente, tanto da venir definita Wunderteam, squadra delle meraviglie. L'addio, Sindelar e compagni lo diedero in una malinconica amichevole non ufficiale proprio coi tedeschi, giocata in un Prater gremito e chiusa con una vittoria per due reti a zero, a ulteriore e definitiva conferma di quale fosse il rapporto di forza fra le due rappresentative. L'Austria, già sicura di partecipare ai Mondiali, venne così cancellata dal tabellone, e la sua avversaria negli ottavi di finale, la Svezia, si trovò promossa al turno successivo senza scendere in campo. (1-CONTINUA).
La foto è tratta da "La storia illustrata della Nazionale", 1950

Nessun commento:

Posta un commento