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lunedì 16 luglio 2018

RUSSIA 2018: FRANCIA, CAMPIONE DEL MONDO COL "BRACCINO CORTO". GIOCO AL RISPARMIO, FIAMMATE DEI DIVI E UN SUPER GRIEZMANN GLI INGREDIENTI DEL TRIONFO


Se la partita fosse finita al 45esimo, sarebbe stato il trionfo più bugiardo e immeritato nella storia della Coppa del Mondo. La seconda parte del match ha in parte rimesso le cose a posto, e la Francia ha tutto sommato legittimato il casuale vantaggio con cui era arrivata all'intervallo: non a sufficienza, tuttavia, per poter affermare che Russia 2018 abbia espresso il campione ideale. I galletti sono i vincitori onesti di una finale dignitosa di un Mondiale tutt'altro che trascendentale, ma su questo ritorneremo più avanti. 
FINALE CON SEI GOL, MA... - La kermesse iridata si è congedata col botto, sul piano delle emozioni. Era dal 1966, nientemeno, che una finalissima non si chiudeva con sei gol, e anche allora fu un 4-2, fra Inghilterra e Germania Ovest, ma col prolungamento della mezz'ora supplementare. Chi mastica calcio senza fermarsi alla superficie sa benissimo, però, che tante reti non sempre sono sinonimo di spettacolo di qualità: da questo punto di vista, il match decisivo di Mosca presta il fianco a più di una critica, ma è stato del resto specchio fedele di un torneo che è vissuto sul filo di un equilibrio esasperato, che si è acceso saltuariamente grazie alle luminarie di qualche giocoliere per poi abbandonarsi a periodi di prolungato letargo e a sfide affrontate con prudenza, facendo leva soprattutto sulla ferrea applicazione di rigidi meccanismi di copertura che hanno spesso costretto alla resa le Nazionali maggiormente portate all'offesa, al football d'iniziativa. 
PIU' CROAZIA CHE FRANCIA, PER UN'ORA - E' più o meno ciò che si è visto questo pomeriggio: avevo detto, nel mio ultimo post, che mi sarei aspettato una finale con una Francia finalmente sbarazzina, finalmente in grado di dispiegare compiutamente il proprio notevolissimo potenziale; sarebbe stato un modo, per les Blues, di vincere il titolo con una prestazione in grado di farsi ricordare, dopo l'anonimato che ne ha caratterizzato fin troppe prove precedenti. E invece, per quasi un'ora di gara, è stata la solita Francia di questa campagna mondiale: attenta esclusivamente a presidiare le posizioni, a non prestare il fianco all'aggressività della Croazia, fidando soprattutto sulle ormai proverbiali ripartenze di Mbappè. Il fatto è che il piano non è riuscito molto bene, anzi: a fare la partita è stata quasi esclusivamente la Nazionale biancorossa, che ha vigorosamente dato fondo alle residue energie (un'ora e mezza di gioco in più nelle gambe, ricordiamolo) e ha condotto le danze sulla scorta di un magistero tecnico d'alta scuola, fatto di manovre rapide, avvolgenti, orchestrate sempre con grande proprietà di tocco, che hanno fatto vivere più di un momento di panico alla retroguardia transalpina.
FIAMMATA DA GRANDE SQUADRA, CON POGBA E MBAPPE' - Nonostante ciò, gli dei del football erano evidentemente dalla parte degli uomini di Deschamps, che si sono trovati in vantaggio con una punizione di Griezmann deviata accidentalmente da Mandzukic alle spalle di Subasic, hanno subìto il sacrosanto pareggio con una fiondata di sinistro di Perisic e si son riportati sopra nel punteggio grazie a un rigore (giusto, per carità) segnalato dal Var per un mani in area dello stesso Perisic e trasformato dal solito, impeccabile Griezmann. Verdetto parziale inconcepibile, ripeto, per quanto si era visto in campo fino a quel momento: Francia avanti senza aver mai tirato in porta su azione...
La ripresa era iniziata sulla stessa falsariga, Modric e compagni insistevano e parevano davvero in grado di forzare il bunker avversario (gran salvataggio di Lloris su tiro di Rebic), ma a quel punto gli indolenti assi in maglia blu decidevano che era tempo di far prendere alla coppa la strada dei Campi Elisi: così Pogba, che fino ad allora aveva lavorato soprattutto in fase di tamponamento, sfruttava un assist in palleggio volante dell'onnipresente Griezmann, tirando prima addosso a un difensore, poi riprendendo e scaraventando di sinistro alle spalle di Subasic, quindi Mbappè, che già aveva fatto le prove generali poco prima con una delle sue micidiali incursioni a velocità folle, trovava il varco giusto con un destro da fuori che finiva nell'angolino basso alla destra dello sconsolato numero uno croato. 
Dieci minuti, un quarto d'ora, non di più. Il solito leit motiv di questo Mondiale made in France: pochi sprazzi di gara ad alto livello, più che sufficienti per mettere in riga la concorrenza. Le eccezioni sono state rappresentate dall'ottavo con l'Argentina, quando l'ottima verve offensiva fu pagata però con una minor protezione della retroguardia, e dalla semifinale col Belgio, nella quale la presunta superiorità dei vincitori non si è proprio vista, essendo stata una gara giocata alla pari con i Diavoli Rossi e vinta con un golletto di Umtiti su calcio d'angolo, seguito dalla solita, inflessibile difesa con pericolose incursioni in contropiede. 
FRANCIA COME L'ITALIA OLD STYLE - Se ne avranno forse a male, i nostri non tanto amati cugini di Parigi e dintorni, ma il loro trionfo mondiale è stato un trionfo all'italiana, nel senso più vintage del termine: ottenuto, cioè, sulle ali di un gioco sparagnino e conservativo che la nostra Nazionale non pratica più da quando sulla panchina azzurra si sedette Bearzot, ossia dagli anni Settanta (con la sola, oscura parentesi della breve era di Cesarone Maldini, che adottò un atteggiamento oltremodo prudente pur trovandosi a disposizione un sensazionale ventaglio di assi dell'attacco). Nulla di male, se la Francia fosse una squadra con mezzi limitati: ma qui stiamo parlando della selezione più dotata in assoluto, assieme al citato Belgio, in quanto a classe pura, doti fisiche, esuberanza giovanile abbinata ad una già notevolissima esperienza internazionale. Solo che i ragazzi di Martinez hanno costantemente onorato il calcio, esprimendo una manovra in linea con i tanti piedi buoni in rosa, mentre quelli di Deschamps hanno avuto il... braccino corto, lesinando sul piano dello spettacolo e mettendosi a posto la coscienza con qualche fiammata assolutamente devastante per i rivali. 
GRIEZMANN ALL'OLANDESE - In quello spezzone di incontro in cui si è visto almeno in parte ciò che la Francia potrebbe fare, più di tutti ha impressionato Griezmann, forse in questo momento il miglior uomo d'attacco al mondo: definirlo attaccante è in effetti riduttivo, perché si tratta di un elemento universale, che svaria dalla trequarti in su costruendo, rifinendo e aprendo spazi per gli altri, un lavoro che in Russia ha svolto con tale intensità da costargli una minore presenza in fase conclusiva; e anzi non è stato raro vederlo risalire anche più indietro, per dar manforte nella zona nevralgica. Un autentico "olandese", pensando a certi fuoriclasse orange del'età dell'oro come Neeskens e Crujiff, altri uomini a tuttocampo in grado di sparigliare le carte dalla cintola in su. 
CROATI IRRIDUCIBILI - Le critiche qui espresse non stanno a significare, credo sia chiaro, che quello della Francia sia un titolo mondiale usurpato. Les coqs nulla hanno rubato, ma in futuro sono attesi a conferme più convincenti, avendo elementi ancora giovani (Varane, Umtiti, Pogba) se non giovanissimi (Pavard, Hernandez e soprattutto Mbappè, splendidi protagonisti del torneo) coi quali aprire quantomeno un miniciclo. Merita invece l'elogio pieno la Croazia: per come ha giocato la finalissima fin quando l'hanno assistita energie e lucidità, per come ha saputo a tratti mettere alle corde i francesi pur senza riuscire a finalizzare, se non col lampo del momentaneo 1-1, per come ha comunque dato battaglia fino alla fine, con Mandzukic che si è fatto perdonare l'autogol iniziale (sul quale ha comunque poche colpe) inducendo Lloris a un colossale errore che gli ha consentito di siglare il 2-4 conclusivo. Applausi agli uomini di Dalic anche e soprattutto per il loro cammino complessivo, affrontato non rinunciando mai al gioco, non piegandosi a logiche speculative. Per questo avevo scritto, e lo ribadisco, che la finale ideale sarebbe stata fra Croazia e Belgio, non solo per una questione meramente estetica, ma perché sono state queste le sole due squadre a sfoggiare un calcio moderno e completo, bello a vedersi ma efficace al contempo, attento alla copertura ma sempre col lo sguardo rivolto verso la porta avversaria. Ha invece vinto il "mestiere", ma non è stata la prima volta e non sarà l'ultima. 
INGHILTERRA E KANE: OCCORRONO ALTRI ESAMI - Che Mondiale è stato, in linea generale? Altre eminenti firme esprimeranno i loro giudizi, avendo potuto vedere, rivedere, studiare e analizzare tutte le compagini in lizza. Come osservatore e semplice appassionato, nonché spettatore di tanti altri Mondiali a partire dagli anni Ottanta, posso dire che questo non è stato uno dei migliori sul piano tecnico e della qualità di gioco: detto delle "magnifiche tre" finite meritatamente sul podio (e per i belgi è il miglior risultato iridato di sempre), la quarta classificata, quell'Inghilterra portata in palmo di mano da tanti esperti, mi è parsa sopravvalutata. Si è tanto parlato di progresso tattico (progresso che la Nazionale coi tre Leoni aveva già evidenziato a partire dai Novanta in poi, peraltro), ma io ho visto soprattutto tanti cross in area per conclusioni di testa sovente micidiali; e il prode Kane è diventato capocannoniere del torneo soprattutto coi cinque gol realizzati fra Tunisia e Panama e col rigore inferto alla Colombia, negli ottavi: ultima segnatura per lui, poi il silenzio. Insomma, per parlare di grande Inghilterra sarà meglio aspettare altre prove. 
LE GRANDI: RAGIONI DI UN FALLIMENTO - Le altre grandi, o non sono esistite (clamorose le figuracce di Argentina e soprattutto Germania) o sono durate lo spazio di una notte (Portogallo e Spagna hanno fatto scintille nel confronto diretto, ma poi si sono progressivamente liquefatte). L'Uruguay si è giovato di un solido impianto tattico e dei fuochi d'artificio accesi da Suarez e Cavani in particolare coi lusitani: una volta venuto a mancare l'ex Napoli per infortunio, alla Francia è bastata la solita, ordinaria amministrazione per estromettere la Celeste. La Russia padrona di casa ha preso lo slancio con le due vittorie facili facili su Arabia ed Egitto, ed ha poi fatto leva sull'ottimo dispositivo difensivo studiato da Cherchesov e su una garra a tratti sudamericana, il Brasile è rimasto impantanato nelle sabbie mobili di una scarsa incisività in prima linea, che ne ha vanificato gli indubbi progressi rispetto al disastro casalingo di quattro anni fa.
LA FOLLIA DELLE 48 SQUADRE - Poi ci sono stati gli exploit a breve gittata, come quelli di Messico, Colombia e Giappone, che però non bastano a fare grande un Mondiale. E anche il tanto strombazzato livellamento, alla fine, porta solo a un maggior equilibrio in partite singole o nell'arco di un girone (si pensi all'ottimo comportamento di Marocco e Iran), ma sulla lunga distanza emergono sempre le stesse realtà, mentre il solito fallimento del "calcio del futuro", ossia del football africano, ha fatto suonare l'ennesimo allarme in vista dell'ormai prossimo allargamento a 48 squadre della fase finale. Allarme che purtroppo resterà inascoltato perché, purtroppo, pare che nel calcio non si possa tornare indietro e si debba sempre puntare al gigantismo, non al (salutare) ridimensionamento. Insomma, se questo non è stato "il più bel Mondiale di sempre", come da sfiancante leit motiv Mediaset di questi giorni, aspettiamoci scenari ancora peggiori per il futuro... 

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